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Jarrahdale

Cultivar storica selezionata in Australia, molto ornamentale, caratteristica per l'ottima conservabilità dei suoi frutti (con costole molto marcate) che arrivano a maturazione in ca. 100 giorni dopo la semina e a pesare da 3 a 10 kg ciascuno. La loro buccia grigio ardesia contiene una polpa giallo arancio, secca, non fibrosa e moderatamente dolce. Molto simile alla cv. 'Sweet Meat' e 'Queensland Blue', secondo alcuni studiosi è da ritenersi un incrocio tra la cv. 'Blue Hubbard' e la cv. 'Cinderella'. Preservata grazie al profondo lavoro e dedizione dei Seed Savers australiani.
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GRIN TAXONOMY: Cucurbita maxima Duchesne Essai sur l'Histoire Naturelle des Courges 7. 1786 Aug-Sep? (J.B.A.P.M de Lamarck, Encycl. 2:151. 1786 Oct) - Cucurbitaceae, Juss., nom. cons.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IPNI TAXONOMY: Cucurbita maxima Duchesne, Essai Hist. Nat. Courges 7 (1786). - Cucurbitaceae Juss., Gen. Pl. [Jussieu] 393 (1789), nom. cons. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima testimonianza indiscutibile dell'esistenza del genere Cucurbita L. in Europa è un'illustrazione in miniatura completata nel 1508 (* cfr. foto della scheda) per Les Grandes Heures d'Anne de Bretagne, dove due illustrazioni attirano l'attenzione: la prima, sotto il nome latino Cucurbita e il nome francese Quegourdes, rappresenta una Lagenaria spp. 

La seconda illustrazione raffigura una pianta con il nome tardo latino Colloquitida e quello francese di Quegourdes de Turquie, per J. Decaisne rappresenta una Cucurbita pepo L. mentre per altri studiosi sembra sia più probabilmente una C. moschata chiamata Courge d'Afrique, Barbarine oppure Courge des Bédouins.

Si trova già raffigurata negli affreschi (1516) di Villa Farnesina a Roma, prima della descrizione di Valerius Cordus nel 1561 della Zucha maior rotunda (* cfr. foto della scheda) probabilmente la prima descrizione di C. maxima e quindi anche prima della rappresentazione di M. de l'Obel del 1576, ovvero sia il famoso Pepo maximus Indicus compressus (* cfr. foto della scheda) raffigurato in Icones stirpium del 1591 e successivamente menzionato da J. Dalechamps (1587), R. Dodoens (1616), J. Gerard (1636), J. Bauhin (1651). 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra i vecchi trattati botanici C. maxima si trova descritta come Melopepo fructu maximo albo (de Tournefort, J.P., Institutiones rei herbariae, 1719), Cucurbita aspera, folio non fisso, fructu maximo albo sessili (Bauhin, J., Historia plantarum universalis, 1651), Pepo compressus major (Bauhin, G., Pinax theatri botanici, 1671).

La figura incisa da J.P. de Tournefort (Institutiones rei herbariae, 1719) la rappresenta molto bene (* cfr. foto della scheda) ma l'esistenza di questa specie fu evidenziata molto bene da Boissier de la Croix de Sauvages, che nel suo Methodus foliorum, seu plante florae Monspeliensis, juxta foliorum ordinem, ad juvandam specierum cognitionem, digestae... (1751) descrisse in breve il frutto come Sphaera polis compressus, meridianis sulcatis.

 

Fu nominata Cucurbita maxima per la prima volta da N. Duchesne nell'Essai sur l'Histoire Naturelle des Courges e quasi contemporaneamente nel volume dell'Encyclopédie Méthodique, Botanique per la quale l'Essai è stato composto. Il botanico/orticoltore francese è stato il primo a condurre uno studio tassonomico approfondito del genere Cucurbita L. basato sui risultati dell'impollinazione incrociata e condotto dal 1768 al 1774 i cui risultati sono stati presentati con un manoscritto accompagnato da disegni e acquerelli (* cfr. foto della scheda, i commenti allegati sono ripresi da H. Paris, The drawings of Antoine Nicolas Duchesne for his natural history of the gourds, 2007).

 

Nonostante non faccia menzione della prima illustrazione botanica ufficiale di C. maxima (* cfr. foto della scheda) fatta da M. de l'Obel (1576) che poi fu riutilizzata da J. Dalechamps (1587), R. Dodoens (1616) e altri, il botanico francese fece riferimento a John Ray (1686) che sotto il titolo Pepo maximus Indicus compressus Lob., descrisse una zucca con foglie che non erano angolate o divise ma piuttosto arrotondate e frutti grandi, da oblati a depressi che si avvicinavano a 14 kg. Fece anche riferimento alla descrizione di questa specie di Boissier de la Croix de Sauvages (1751) asserendo che quest'ultimo fu il primo botanico a usare il termine "potiron" che tuttavia era già in uso in Francia dalla metà del XVII secolo. 

Mentre era consapevole che C. maxima era piuttosto variabile nelle caratteristiche dei frutti, scrisse di questa specie: «La peau assez fine et ne faisant jamais coque comme dans plusieurs Giraumons ne présente point de bosselures mais assez souvent de la broderie».

Il suo non essere a conoscenza di cultivar di C. maxima che hanno una buccia più spessa e verrucosa ha contribuito alla sua deduzione errata che lo ha portato a classificare un frutto di una zucca a turbante come una tipologia di C. polymorpha (C. pepo) nell'Addition del 1786 e ancora nella Methodical Encyclopedia, Agriculture del 1793.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono generalmente riconosciute circa dodici specie selvatiche di Cucurbita L. di cui sei appartengono al gruppo perenne e xerofita (composto da piante che crescono in zone aride tollerando condizioni asciutte): Cucurbita cordata S. Watson, Cucurbita digitata A. Gray, Cucurbita foetidissima Kunth, Cucurbita palmata S. Watson, Cucurbita pedatifolia L.H. Bailey e Cucurbita radicans Naudin. Questo gruppo ha un intervallo di distribuzione dal sud-ovest degli Stati Uniti e dalla Bassa California al Messico centro-settentrionale e meridionale. Il gruppo annuale e mesofitico (composto da piante che richiedono un approvvigionamento idrico più o meno continuo) comprende Cucurbita argyrosperma C. Huber subsp. sororia L. Merrick & D.M. Bates, Cucurbita lundelliana L.H. Bailey, Cucurbita okeechobeensis (Small) L.H. Bailey subsp. martinezii T.C. Andres & Nabhan ex T.W. Walters & T.S. Decker e Cucurbita okeechobeensis (Small) L.H. Bailey subsp. okeechobeensisCucurbita pepo L. subsp. fraterna (L.H. Bailey) Lira et al., Cucurbita pepo L. subsp. ovifera (L.) D.S. Decker, Cucurbita pepo L. subsp. ovifera (L.) D.S. Decker var. ozarkana D.S. Decker e Cucurbita pepo L. subsp. ovifera (L.) D.S. Decker var. texana (Scheele) Filov, Cucurbita ecuadorensis H.C. Cutler & Whitaker e Cucurbita maxima Duchesne subsp. andreana (Naudin) Filov. Per questo gruppo la distribuzione è più dispersa e disgiunta, spaziando dagli Stati Uniti centrali, Florida, Texas, costa del Pacifico e del Golfo del Messico, Messico meridionale, America centrale settentrionale, Ecuador, Perù, Bolivia, Argentina nordoccidentale e centrale e Uruguay.

 

 

 

Spesso non è facile distinguere le piante o i frutti di C. maxima dalle relative C. moschata e C. pepo: il portamento delle piante è simile ma la forma e le dimensioni dei frutti sono variabili. La distinzione è più semplice se si osservano le differenze del gambo, degli steli e delle foglie. La specie qui descritta si distingue per i suoi fiori più svasati e più ingrossati alla base del calice, con un apice riflesso o rivolto verso il basso in modo evidente e per le sue grandi foglie, a forma di cuore tondo, che sono sostenute dal loro picciolo in direzione quasi orizzontale. Tutte le parti della pianta sono più forti o più grandi in proporzione a quella di qualsiasi C. pepo, il frutto generalmente dalla buccia sottile è più grande e più uniforme nella sua forma sferica piatta, presenta lobi regolari e notevoli rientranze all'estremità dello stilo e del peduncolo, la sua polpa è più soda e succosa.

La C. moschata ha un peduncolo duro e uniformemente angolato allargato all'apice, steli duri, scanalati uniformemente e foglie morbide, moderatamente lobate. Infine la C. pepo ha un peduncolo angolare a volte leggermente allargato all'apice, steli duri, angolari, scanalati, spinosi e palmati, spesso foglie profonde e spinose.

 

 

In C. maxima esiste una grande tipologia di forme coltivate e molti tentativi sono stati condotti per classificarle: A.F. Castetter e A.T. Erwin (A systematic study of squashes and pumkins, 1927) basandosi sulle cultivar di ampia distribuzione tra i coltivatori nordamericani, proposero il primo raggruppamento di sette gruppi orticoli (Hubbard, Delicious, Orange Marrows, Turban, Banana, Warty o Pebbled, Show or Display) non includendo però le cultivar tipo Zapallito, di riconosciuta importanza come zucca estiva nei paesi dell'America Latina meridionale.

Un'altra classificazione importante è quella fatta da I. Grebenščikov nel 1958 (Notulae cucurbitologicae IIIKulturpflanze, 6: 38-60), caratterizzata da sei convarietà (Turbaniformis, Bananina, Hubbardiana, Maxima, Parvifructina Zapallitina), che però non è completa per quanto riguarda le cultivar emerse nella maggior parte dei cataloghi di semi degli ultimi 60 anni (tra questi ci sono i tipi Nugget e Buttercup in Nord America, Nuova Zelanda e Giappone, e Plomo e Moranga in Argentina e Brasile).

La classificazione Mansfeld invece prevede i gruppi Austroamerican, Banana, Hubbard, Mammoth, Parvifructina, Turban, Zapallito.

 

 

 

In tempi più recenti A. Goldman (2004) ha presentato un elenco illustrato inerente alle cultivar di C. maxima raggruppandole in Australian Blue, Hubbard, Buttercup, Banana, Turban, Mammoth, Zapallito e Miscellaneous (vario) a cui López-Anido ha aggiunto i gruppi Nugget, Plomo, Moranga e Zipinka. Altri ancora hanno poi aggiunto il gruppo tipicamente giapponese denominato Kabocha.

 

Si tende a considerare i gruppi Turban e Buttercup in posizione centrale, poiché rappresentano un primo momento nel percorso di addomesticamento associato al consumo di semi e frutti immaturi; solo in seguito sono state selezionate piante con frutti più grandi per la qualità della polpa del frutto maturo da un lato e il portamento cespuglioso e l'adattamento al clima temperato dall'altro.

 

Sono ancora accese le discussioni sul gruppo di cultivar a cui questa pianta deve appartenere, le teorie sostenute con più convinzione sostengono debba appartenere al gruppo Miscellaneous.

 

Il genere Cucurbita L. è stato formalmente descritto da Linneo nel suo Genera Plantarum, la quinta edizione del 1754 insieme alla prima edizione del 1753 Species Plantarum. Il botanico e accademico svedese incluse nel genere le specie C. pepoC. verrucosa e C. melopepo (ora classificata come Cucurbita pepo L. subsp. ovifera (L.) D.S. Decker var. ovifera (L.) Harz) nonché C. citrullus (anguria, ora Citrullus lanatus (Thunb.) Matsum. & Nakai) e C. lagenaria (ora Lagenaria siceraria (Molina) Standl.) che oggi non appartengono al genere Cucurbita L. ma appartengono alla famiglia delle Cucurbitaceae Juss., nom. cons.

 

Il nome della famiglia e del genere deriva dalla parola latina cucurbita che indicava appunto la zucca. La parola deriva dal sanscrito c’arbata (curvata, rotonda) affine all'aggettivo latino curvus-a-um dalla radice carb/corb che ha il senso di "strisciare"Il nome della specie invece deriva da maximus-a-um: massimo, il più grande, in riferimento alle dimensioni rispetto a quelle delle specie congeneri.

L'etimologia del termine zucca è incerta. Secondo alcune fonti potrebbe derivare dal latino cucurbita poi diventato nel tardo latino cucutia quindi nel volg. cocuzza e infine zucca. Va precisato però che non si ha la certezza che sia una forma volgare del lemma classico cucurbita né che indichi specificamente solo la zucca (si può trovare il termine cucutias in Plinio Valeriano, De re medica).

 

Bisogna purtroppo segnalare una incredibile riduzione delle heirloom cultivar in commercio: come per tutte le piante che mangiamo ci troviamo ad affrontare un'omologazione sempre più massiccia e un impoverimento della biodiversità.

 

Per la metà del prossimo secolo le stime valutano attorno al 25% la perdita di specie vegetali presenti sul pianeta, a causa delle deforestazioni, delle pratiche di monocultura e di controllo delle acque, del superpascolo e dell'urbanizzazione. Per fare un esempio basta citare la ''rivoluzione verde'' (che non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari) portata avanti in paesi come l'India, l'Indonesia e la Cina (in cui il fabbisogno alimentare costituiva il problema primario) che ha permesso di risolvere molto poco questo problema inasprendolo con un prezzo elevato: sono state coltivate piante ad alto rendimento mentre tutte le altre, coltivate da millenni, sono state abbandonate causando la loro quasi completa estinzione. Oltre alla perdita di biodiversità e al degrado del suolo, le tecniche della rivoluzione verde sono molto inquinanti perché fanno pesante affidamento sui fertilizzanti e fitofarmaci chimici, alcuni dei quali devono essere prodotti a partire da combustibili fossili, rendendo l'agricoltura progressivamente basata sui prodotti del petrolio. Ma soprattutto ha causato dipendenza economica nel caso di utilizzo di OGM e introdotto grandi cambiamenti in un mondo dove la maggior parte delle persone dipende ancora dall'agricoltura per la sopravvivenza, sponsorizzando un'agricoltura di vasta scala ai danni di piccoli contadini che non erano capaci di competere con l'alta efficienza delle sementi della rivoluzione verde.

 

Proprio a proposito della tutela della biodiversità è doveroso omaggiare Nikolaj I. Vavilov, un grande scienziato del secolo scorso che ben ha aiutato a far capire quanto le piante e l'uomo si siano venuti incontro. Per chi è religioso (ma anche per chi non lo è) è come se tutto questo avesse un fine: custodire la vita umana sulla Terra. Servirsi della fisica per incarnare la metafisica. Lo scienziato russo lo dice chiaramente: la mappa della diversità varietale ricalca la mappa della diversità delle etnie. La conoscenza delle aree di origine delle specie coltivate è importante per contrastare l'erosione genetica, la perdita del germoplasma conseguente alla scomparsa di ecotipi e alla scomparsa degli habitat (per esempio le foreste pluviali) e per limitare l'estendersi dell'urbanizzazione.

Vavilov facendosi forte della sua teoria che lega la diversità delle piante a quella geografica riuscì a portare a conoscenza i centri di origine delle piante coltivate: Messico meridionale e centro America (Guatemala, Honduras e Costa Rica), Perù-Equador-Bolivia, America meridionale (l'isola Chiloè nel sud del Cile; Brasile-Paraguay), Mediterraneo, Medio Oriente (Asia minore, Transcaucasia, Iran, altopiani del Turkmenistan), Etiopia, Asia centrale (Punjab, Kashmir, Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan, zona montuosa del Tian Shan), Indo-Birmano (Assam e Birmania), India (Indocina) e Cina.

La sua teoria dimostra che in diverse zone del pianeta si sono sviluppate civiltà in modo indipendente e in luoghi isolati che hanno dato un impulso fondamentale all’agricoltura. La civiltà e l'agricoltura non si sono sviluppate intorno ai grandi fiumi ma in zone montagnose o collinari, ricche di diversità, giungendo solo successivamente in ampie vallate vicine ai corsi d'acqua. Punto fondamentale del suo studio e della sua ricerca era coniugare l’insieme dei dati con le conoscenze locali, il contesto ecologico, gli usi culinari e sociali del materiale raccolto cercando sempre una relazione con le comunità ma soprattutto evidenziare che i centri di origine sono un serbatoio fondamentale di diversità.

Dirigendo la sua attenzione verso le piante domestiche proprio come aveva fatto Alphonse de Candolle (il padre Augustin Pyrame de Candolle fu tra i primi, con Jean-Baptiste de Lamarck, A. von Humbolt, A. Bonpland e A. Engler a fare ricerche e studi sui centri di origine delle piante) nel 1932 arrivò a riconoscere che: «Uno dei fattori più essenziali per comprendere il processo di evoluzione negli organismi viventi è la distribuzione geografica delle specie e delle varietà nel tempo presente e nel passato».

Lo studio delle leggi della distribuzione geografica delle risorse vegetali e l'accertamento dell'enorme diversità infraspecifica della maggior parte delle colture hanno consentito non solo di determinarne la localizzazione ma ha anche offerto l'opportunità di accertare il periodo di origine delle piante più importanti per la coltivazione. Nel 1924 Vavilov scrisse: «La storia e l'origine delle civiltà umane e dell'agricoltura sono, senza dubbio, molto più antiche di quanto ci rivela qualsiasi documentazione antica sotto forma di oggetti, iscrizioni e bassorilievi. Una conoscenza più intima delle piante coltivate e della loro differenziazione in gruppi geografici ci aiuta ad attribuire la loro origine ad epoche molto remote, dove 5000 oppure 10000 anni rappresentano solo un breve momento».

 

 

L'identificazione di parenti selvatici delle colture oggi domestiche è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare nel XXI secolo e nel futuro. Ciò è dovuto al loro potenziale utilizzo nel miglioramento delle piante per affrontare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, la crescente scarsità di cibo e acqua e per affrontare nuovi parassiti e fitopatologie.

 

Proprio per questo un principio chiave della biologia evolutiva e vegetale è capire come le piante rispondono e si adattano ai cambiamenti delle condizioni ambientali, che possono essere meglio comprese sfruttando la diversità genotipica e studiando le connessioni tra genotipo e fenotipo: l'individuazione dei parenti selvatici (CWR) delle colture è dunque fondamentale. Sebbene Vavilov avesse già riconosciuto il potenziale dei CWR (Vavilov, N.I., 1926), i progressi degli scienziati hanno approfondito meglio il potenziale dei CWR come fonte di diversità e nuovi tratti per il miglioramento delle popolazioni coltivate. Tuttavia questi progressi scientifici sono ostacolati dal fatto che non abbiamo ancora identificato i CWR di molte importanti specie di colture di cui la storia evolutiva, l'identificazione del parente selvatico più vicino e l'origine dell'addomesticamento non è ancora chiara a causa della confusione tassonomica e della mancanza di prove biologiche e archeologiche (la confusione tassonomica è forse meglio evidenziata da Bailey che nel 1930 ha affermato: «Alcune di queste piante sembrano essere più confuse in letteratura che in natura»).

 

 

Gli attuali dati biogeografici e archeologici suggeriscono che le forme coltivate più comuni del genere Cucurbita L. non derivano da un antenato comune, mentre ogni specie rappresenta un evento di domesticazione indipendente (studi mostrano che ci sono stati almeno sei eventi di addomesticamento indipendenti che separano le specie domestiche dai loro antenati selvatici). Nonostante questo secondo alcune ricerche i progenitori delle zucche coltivate potrebbero essere Cucurbita lundelliana L.H. Bailey e Cucurbita okeechobeensis subsp. martinezii (L.H. Bailey) T.C. Andres & G.P. Nabhan ex T.W. Walte, spontanee nel Messico, che danno frutti fertili negli incroci con le specie coltivate.

 

Per quanto concerne C. maxima, le teorie più accreditate però sostengono che Cucurbita maxima Duchesne subsp. andreana (Naudin) Filov sia da considerare la progenitrice selvatica; questa specie è originaria delle zone temperate più calde del Sud America e delle umide regioni di pianura della Bolivia: i dati archeologici attualmente disponibili non possono aiutarci con questo problema, perché i primi siti nelle regioni pertinenti sono scarsamente studiati e le informazioni storiche sulla pianta in Bolivia sono limitate soprattutto perché non sono note la profondità temporale (la pianta è stata coltivata sulla costa peruviana ma apparentemente non ha mai lasciato il suo continente di origine durante l'era precolombiana) e le circostanze della sua presenza in quelle zone, come ad esempio specie selvatiche a lungo termine rispetto a una fuga naturalizzata dalla coltivazione. 

In Perù, sulle pendici occidentali delle Ande settentrionali, i primi resti macrofossili di Cucurbita spp. sono stati datati circa 8435 BP: si tratta di piccoli semi di colore marrone scuro uniforme con margini rialzati prominenti e forma ellittica.  I ricercatori hanno attribuito questi resti a C. moschata poiché un colore marrone simile e semi di dimensioni simili sono stati segnalati nelle piante autoctone colombiane. Tuttavia, C. maxima non può essere esclusa, poiché anche le cultivar di colore marrone dei semi sono comuni nel gruppo di cultivar Banana.

Il bacino del Rio delle Amazzoni è stato evidenziato come un'importante area di addomesticamento e diversità delle piante associata alla gestione del maggese, all'eterogeneità microambientale e alle piccole dimensioni della popolazione; inoltre, la zona denominata Llanos de Moxos, che si estende dal nord della Bolivia al Brasile e al Perù, è stata proposta come centro di diversità per C. maxima e C. moschata

I fitoliti studiati (strutture microscopiche costituite da silice persistenti dopo il decadimento delle piante) hanno dimostrato che le forme domestiche erano presenti nel paesaggio delle pianure del Sud America settentrionale e nella foresta tropicale almeno dal 7000, e molto probabilmente dal 9000 BP. L'identificazione di questi microresti è stata riferita al livello del genere (non della specie) ed è stato suggerito che potessero corrispondere a C. moschata o C. maxima

Più recentemente J. Watling (Direct archeological evidence for Southwestern Amazonia as an early plant domestication and food production centre, 2018) ha trovato fitoliti di Cucurbita spp. coltivate e possibile Cucurbita spp. selvatiche nel sito di Teotonio (Amazzonia sudoccidentale) sul fiume Madeira, la cui sorgente proviene dalle Ande centrali boliviane. Lo studio effettuato ha suggerito che potrebbero corrispondere a C. maxima, poiché, come hanno affermato T.W. Whitaker e H.C. Cutler: «La storia culturale delle cucurbitacee indica una tendenza molto forte verso l'agricoltura conservativa tra i popoli precolombiani e postcolombiani in quanto tendevano a coltivare essenzialmente le stesse cultivar per lunghi periodi di tempo». 

Nell'Argentina nord-orientale, semi ben conservati, scorze, peduncoli e persino interi frutti dove rimangono semi domestici e semidomestici di C. maxima sono stati trovati in molti siti, datati fino al 2700 BP. Nelle pianure del bacino del fiume La Plata, pratiche orticole su piccola scala tra cui quelle di Cucurbita spp. sono state registrate in tumuli distribuiti sia nel sud-est dell'Argentina che in Uruguay, riferibili a un lasso di tempo più recente (2000 anni fa) e associate a Guarani e possibili culture Arawak, entrambe discendenti da popolazioni originarie del bacino amazzonico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

🠖 Un altro argomento che riveste importanza fondamentale è che il graduale passaggio dalla caccia e raccolta alla coltivazione di piante e all'allevamento è iniziato tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene, circa 12000–10000 anni fa (Fuller et al., 2014; Arranz-Otaegui et al., 2018). La conseguente nutrizione sostenibile delle grandi popolazioni sedentarie rappresenta una delle transizioni più significative nel corso di 300000 anni di storia dell'Homo sapiens. Le ragioni dietro i cambiamenti comportamentali impliciti in varie popolazioni umane rimangono molto dibattute, ma è probabile che abbiano coinvolto una combinazione di cambiamenti climatici, cambiamenti nella vegetazione, demografia umana e sistemi sociali umani. Undici regioni geografiche sono state identificate come centri di addomesticamento di piante e animali nel continente americano, in Africa, Medio e Vicino Oriente, Asia e Nuova Guinea (Piperno, D.R., 2011) sovrapponendosi in alcuni casi a noti centri di addomesticamento animale.

L'addomesticamento coinvolge gli esseri umani che agiscono come disperdenti e modificatori dell'ambiente biotico e abiotico di una coltura, processo graduale e spesso non limitato a un singolo luogo o popolazione umana. Come risultato di questo processo, le piante coltivate e gli animali domestici condividono serie di tratti modificati denominati "sindrome da domesticazione", che si differenziano dai loro antenati selvatici (Darwin, C., The Variation of Animals and Plants under Domestication, 1868; de Candolle, A., Origin of cultivated plants, 1884; Hammer, K., Das Domestikationssyndrom, 1984; Pickersgill, B., Domestication of plants in America, 2007; Meyer et al., Patterns and process in crop domestication, 2012). Nelle piante la sindrome dell'addomesticamento coinvolge spesso frutti più grandi e zuccherini, riduzione delle difese fisiche e chimiche nelle parti utilizzate dall'uomo, semi più grandi, riduzione della dormienza dei semi, infiorescenze più grandi e semi non frantumabili (nelle erbe e nei legumi). La selezione di piante con proprietà desiderabili è stata probabilmente iniziata dai singoli agricoltori e non ha comportato una selezione di massa (in molti casi il primo tratto selezionato dall'uomo era probabilmente la non amarezza della polpa). In questo senso si può ipotizzare che i Paleoamericani in quanto raccoglitori conobbero zucche più piccole con un potenziale utilizzo e avviarono un circolo virtuoso in cui da un lato le zucche trovarono nell'uomo un "fornitore" di nicchie ecologiche disturbate adatte al loro portamento rampicante, dall'altro gli uomini furono avvantaggiati dall'uso delle zucche come boe, sonagli, piccoli contenitori e dal consumo dei loro semi ricchi di proteine ​​e olio (questo meccanismo di dispersione antropogenica dei semi è stato considerato come un punto di partenza per l'addomesticamento di molti taxa vegetali).

L'esistenza di una relazione di addomesticamento tra le antiche società umane e le specie vegetali può essere dedotta dai cambiamenti morfologici nella documentazione delle popolazioni vegetali bersaglio. In generale le caratteristiche principali associati agli ambienti di addomesticamento sono l'aumento delle dimensioni di semi, frutti e peduncoli e le variazioni di colore rispetto all'antenato selvatico (in C. maxima peduncoli e semi sono stati proposti come il miglior macroresto archeologico e l'aumento del loro diametro e lunghezza un buon indicatore dei cambiamenti che si verificano durante l'addomesticamento).

 

Nell'ultimo decennio l'idea che l'addomesticamento fosse un processo rapido (rivoluzione dell'Olocene) ha cominciato a essere seriamente messa in discussione e nuove intuizioni sono emerse da studi archeobotanici che mostrano che il tempo necessario affinché i fenotipi di addomesticamento si manifestino e si fissino nelle specie domestiche in evoluzione è più lungo di quanto si pensasse in precedenza. Uno dei motivi di questo tempo prolungato potrebbe essere che molti dei tratti di addomesticamento delle colture (come l'allargamento della dimensione dei semi e la dimensione dei frutti) potrebbero richiedere molte generazioni per essere fissati in una popolazione, un altro motivo è che gran parte dell'addomesticamento non è stato, come generalmente si crede, effettuato da una selezione deliberata ma piuttosto è il risultato di una selezione (naturale) inconscia di specie incipienti mentre venivano coltivate nei nuovi ambienti dei campi agricoli neolitici. Ciò non solo spiega caratteristiche come la non dormienza del seme e la germinazione sincrona, ma anche la dimensione del seme; semi più grandi possono essere adattativi in ​​diversi modi, migliorando la concorrenza nelle fasi di crescita precoce e la sopravvivenza delle piantine (un carattere peculiare che è stato selezionato in parallelo in tre taxa di Cucurbita L. è il fenotipo a internodo corto che rendeva piante cespugliose, con una fioritura precoce e un numero maggiore di frutti per pianta, altri tratti come il colore del frutto e della polpa e possibilmente il gusto chiaramente sono stati guidati da una scelta umana consapevole).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Storici, antropologi e agronomi dovranno ancora comprendere più in dettaglio le dinamiche di creazione e diffusione dei diversi gruppi di cultivar e apprezzare il peso relativo dei fattori biologici e culturali in questa storia. Questo compito difficile e ambizioso rimane ancora in una fase di bozza nonostante gli storici delle colture, seguendo Alphonse de Candolle, si siano impegnati a tracciare l'origine delle specie, la loro introduzione in diversi paesi e la loro storia riuscendo a puntualizzare che all'interno di una stessa specie biologica possono coesistere cultivar e gruppi di cultivar con caratteristiche di forma, biologia e soprattutto d'uso molto diverse. E ognuno di questi gruppi di cultivar può avere la sua storia.

È necessario perché una pianta possa essere identificata (in particolare nelle fonti storiche) che sia stata precedentemente notata e adeguatamente descritta, e se questa descrizione sia stata messa a disposizione di scienziati di altre discipline. Ma una descrizione botanica non basta. Deve integrare dati di interesse come contenuto di sostanza secca della polpa, composizione chimica, caratteristiche del frutto o del seme, in generale tutto ciò che ne rende possibile un uso particolare. Gli usi determinano effettivamente il destino di una particolare pianta e la sua percezione da parte delle persone.

La seconda condizione è la disponibilità di un inventario completo dei nomi popolari in molte lingue. Tale inventario è particolarmente critico nel caso delle Cucurbitaceae, che presentano così tante somiglianze attraverso specie botaniche e generi, un fatto che Vavilov ha formalizzato sotto la sua "legge delle variazioni parallele". Queste somiglianze spiegano perché alle piante di nuova introduzione sono stati spesso dati gli stessi nomi popolari delle piante precedentemente conosciute. Questo processo è ben noto ai linguisti, ed è avvenuto in tutte le lingue e dialetti di tutti i tempi, a tal punto che si può affermare che tutte le identificazioni fatte dagli storici devono essere controllate. Ciò è tanto più importante in quanto, andando indietro nella storia, le descrizioni si fanno più fumose e si riducono alla semplice menzione di un nome e anche l'anacronismo è pronto a spuntare. Oltre a quei processi di cambio di nome, dobbiamo affrontare la variazione delle definizioni popolari tra le lingue (ad esempio una 'gourd' in inglese non è necessariamente una 'gourde' in francese, e la distinzione tra 'squash' e 'pumpkin' non corrisponde a quella tra 'courge', 'citrouille' e 'potiron').

Un altro insieme di dati, molto ben utilizzato da Paris nel suo lavoro di ricerca sulla storia delle zucche, è l'iconografia. L'interesse dell'iconografia è stato dimostrato in modo convincente da Banga (1957) per la storia delle carote, in quanto le nature morte olandesi ci consentono di datare con precisione la comparsa delle carote arancioni durante il XVIII secolo. Allo stesso modo, Finan (1948) ha potuto dimostrare che due diversi tipi di mais erano conosciuti in Europa nel Rinascimento, il che viene ora interpretato come la traccia di due distinte introduzioni, una di un mais tropicale dei Caraibi e l'altra di un mais temperato dal Nord America, quest'ultima introduzione non documentata dagli storici. Ma l'uso dell'iconografia è rimasto limitato a causa di vincoli tecnici (costo delle riproduzioni) e legali o finanziari (copyright di musei e biblioteche sulle opere che conservano e copyright dei fotografi). Con la diffusione di internet, non possiamo che sperare che si trovino soluzioni che permettano di rendere pienamente accessibile l'iconografia riuscendo a creare un contesto di lavoro collaborativo, consentendo approcci incrociati di specialisti di diverse discipline considerando che l'esperienza ci dice che gli storici dell'arte non sono preparati a osservare i caratteri che interessano agli agronomi o ai genetisti e, viceversa, questi ultimi spesso mancano di conoscenze storiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chauvet, M. (dall'introduzione fatta in Paris, H. S., The drawings of Antoine Nicolas Duchesne for his natural history of the gourds, 2007)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La maggior parte delle Cucurbitaceae Juss, nom. cons. sono erbacee annuali o perenni (la maggioranza delle principali specie di colture sono annuali con un sistema sessuale monoico in cui ogni individuo dà frutti). Hanno tutte accrescimento indeterminato, nel senso che le specie domestiche annuali sono in realtà piante perenni che muoiono alla fine del ciclo produttivo o per esaurimento degli organi vegetativi imposto dalla selezione per alta produttività oppure per condizioni climatiche sfavorevoli al di fuori del loro centro di origine. 

Se ormai è assodato che il clade delle Cucurbitaceae ha avuto origine nel sud-est asiatico continentale nel tardo Cretaceo e che le cinque divergenze evolutive più profonde della famiglia risalgono tutte al tardo Cretaceo (70–80 mya), fino al ritrovamento fatto da L.A. Newson e M.C. Mihlbachler di abbondanti semi selvatici di Cucurbita sppnello sterco di mastodonte nel sito archeologico di Page-Ladson, non era chiaro come i semi fossero giunti fino a noi sopratutto perché non era stata registrata alcuna prova chiara di un meccanismo di dispersione dei semi o dei frutti a opera di animali (questo è fondamentale per comprendere l'effettiva distribuzione di queste specie che si sono basate, fin dall'inizio dell'Olocene, su dispersioni alternative dei semi come galleggiabilità dei frutti lungo i corsi d'acqua, predatori ed eventualmente attività antropica). 

 

Il più antico fossile noto è un campione di foglia di Cucurbitaciphyllum lobatum risalente al Paleocene, rinvenuto nel Montana che fu descritto per la prima volta nel 1924 dal paleobotanico F. H. Knowlton. La foglia fossile è palmata, trilobata con seni arrotondati e un margine intero o seghettato ed è simile a quella di specie dei generi Kedrostis Medik.Melothria L. e Zehneria Endl. 

 

Gli archeobotanici non solo hanno da tempo documentato la diffusione delle colture di Cucurbitacee dall'Asia o dalle Americhe al Mediterraneo e al nord Europa (Paris, H., 2015) ma anche il loro ruolo nelle culture antiche sulla base di resti di frutti, semi e persino foglie (es. Schweinfurth, G.A., 1883, Piperno, D.R., 2011; Wasylikowa & van der Veen, 2004). Tale lavoro ha ormai identificato parenti più stretti, aree ancestrali e tempi di divergenza di zucca, zucchine, zucchine, zucca bottiglia, zucca amara, chayote, melone, anguria, cetriolo e zucche spugna (Sanjur et al., 2002; Erickson et al., 2005; Filipowicz et al.,2014).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per concludere abbiamo deciso di fare un riferimento a tre testi che sono stati importanti e che hanno segnato un avvicinamento all'origine delle piante coltivate per gli studiosi e per gli appassionati e quindi a un articolo pubblicato su Annals of the Missouri Botanical Garden (rivista internazionale dedicata principalmente alla botanica sistematica e alla biologia evolutiva):

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incominciando l'enumerazione delle specie del genere Cucurbita, devo spiegare che la distinzione di queste, un tempo molto difficile, è stata fondata da M. Naudin (Annales des sc. nat.) in modo scientifico mediante un'assidua coltivazione di varietà ed esperimenti sulla loro fecondazione incrociata. Chiama specie i gruppi di forme che non possono fecondarsi reciprocamente o i cui prodotti non sono stati fertili e stabili, e razze o varietà le forme che si incrociano tra loro e danno prodotti fertili e vari. 

M. Naudin ha stabilito i veri caratteri distintivi di C. maxima e C. pepo. La prima ha lobi fogliari arrotondati, peduncoli a superficie liscia e lobi della corolla ricurvi verso l'esterno; la seconda ha lobi fogliari acuti, peduncoli segnati da creste e solchi, la corolla ristretta alla base, con i lobi quasi sempre eretti. Le forme principali di C. maxima sono la Potiron Jaune, che a volte raggiunge un peso enorme, la Potiron Turbant o Giraumon, etc.

I nomi volgari e gli autori antichi non combaciano con le definizioni botaniche, bisogna stare attenti alle affermazioni un tempo diffuse sulle origini e sull'introduzione della coltivazione di tale o tal altra zucca in una certa epoca o in determinati paesi. Questo è uno dei motivi per cui, quando ho ripreso l'argomento nel 1855, la patria di queste piante mi era rimasta sconosciuta o molto dubbia. Oggi possiamo esaminare meglio la questione.

Secondo Sir Joseph Hooker (Flora of tropical Africa) la C. maxima è stata trovata da Barter sulle rive del Niger, in Guinea, «con l'aspetto autoctono» (apparentemente autoctono) e da Welwitsch in Angola, senza affermazione della qualità spontanea. Non trovo indicazioni di spontaneità nella letteratura sull'Abissinia, sull'Egitto o su altri paesi africani dove la specie è comunemente coltivata. Gli abissini usano la parola Dubba, che si applica, in arabo, alle zucche, in un senso molto generale.

Si è a lungo sospettata un'origine indiana, basandosi su nomi come Courge d'Inde, su dati da botanici cinquecenteschi, e in particolare sul Pepo maximus indicus figurato da Lobel, che ben rappresenta la specie attuale; ma è una prova molto debole, perché le indicazioni volgari dell'origine sono spesso false. Il fatto è che mentre le zucche vengono coltivate nell'Asia meridionale, come altrove tra i tropici, la pianta non è stata incontrata allo stato selvatico. Nessuna specie simile o analoga è indicata nelle antiche opere cinesi. Non è possibile sapere a quale specie si applicasse il nome sanscrito Kurkarou, attribuito da Roxburgh alla Cucurbita Pepo, e non meno grande è l'incertezza riguardo alle zucche e meloni coltivati ​​dai Greci e dai Romani. Non abbiamo riscontrato la presenza di una zucca nell'antico Egitto. Forse era coltivato in questo paese e nel mondo greco-latino? I Pepones che Carlo Magno fece coltivare nei suoi poderi erano la specie qui descritta o la Cucurbita Pepo; ma nessuna figura o descrizione riconoscibile di queste piante è stata data prima del XVI secolo.

Questo potrebbe far presumere un'origine americana. L'esistenza allo stato spontaneo in Africa è infatti un'obiezione, perché le specie della famiglia delle Cucurbitaceae sono molto locali; ma ci sono argomenti a favore dell'America e devo esaminare con maggiore attenzione poiché negli Stati Uniti mi è stato rimproverato di non averne tenuto sufficientemente conto.

Innanzitutto su dieci specie conosciute del genere Cucurbita, sei sono certamente spontanee in America (in Messico o in California), ma sono specie perenni, mentre le zucche coltivate sono annuali.

La pianta denominata Jurumu dai brasiliani, figurata da Pison e Marcgraf, è riportata dai moderni a Cucurbita maxima. La tavola e le brevi spiegazioni dei due autori sono abbastanza adatte, ma sembra che fosse una pianta coltivata. Potrebbe essere stata portata dall'Africa o dall'Europa dagli europei, tra la scoperta del Brasile, nel 1504, e i viaggi dei suddetti autori, avvenuti nel 1637 e nel 1638. Nessuno ha trovato la specie selvatica nel sud o nel nord America. Nelle opere sul Brasile, la Guyana, le Indie Occidentali non trovo alcuna indicazione di cultura antica o di esistenza spontanea, né secondo i nomi, né secondo tradizioni o opinioni più o meno precise. Negli Stati Uniti, gli studiosi che meglio conoscono le lingue e i costumi degli indigeni, ad esempio il Dr. Harris in passato, e il Sig. Trumbull più recentemente (Harris, American journal, 1857; Trumbull, Bull. of Torrey's Club, 1876) sostengono che Squash degli angloamericani e Macock o Cashaw, Cushaw dei vecchi viaggiatori in Virginia, corrispondano alle Gourds. Il signor Trumbull dice che Squash è una parola indiana. Non ne dubito, ma né i più abili linguisti né i viaggiatori del Seicento che vedevano gli indigeni forniti di frutti chiamati nei loro libri Citrouilles, Courges, Pompions, Gourdes, possono dare la prova che fosse tale o la specie oggi riconosciuta distinta dai botanici. Questo ci insegna solo che gli indigeni, un secolo dopo la scoperta della Virginia, da venti a quarant'anni dopo la colonizzazione di W. Raleigh, utilizzarono alcuni frutti delle Cucurbitaceae. I nomi volgari sono ancora così confusi negli Stati Uniti che il Dr. Asa Gray, nel 1868, indica Pumpkin e Squash come specie corrispondenti di Cucurbita (Asa GrayBotany of the northern states1868) mentre Darlington (Flora cestrica) attribuisce il nome di Pumpkin alla normale Squash (C. pepo) e quello di Squash alle varietà che cadono nelle forme Melopepo degli antichi botanici. Non attribuiscono alla zucca (C. maxima) un nome volgare, particolare e certo.

In definitiva, senza aggiungere una fede implicita sulla base dell'affermazione di un solo viaggiatore, mi ostino a credere che la specie abbia avuto origine nel Vecchio Mondo e introdotta in America dagli Europei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Candolle, Alphonse de, Origine des plantes cultivées, 1883)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il lavoro di A. de Candolle è fondante, rimane esemplare nel metodo e ricco di dati grazie al suo metodo multidisciplinare che unisce botanica, archeologia e linguistica. Sulla base di dati frammentari la sua intuizione lo ha spesso portato a conclusioni corrette, anche se va sottolineato che è in gran parte obsoleto e non dovrebbe assolutamente essere usato come riflesso dello stato della scienza. 

Il botanico svizzero concesse un ruolo eccessivo all'antico Egitto (cosa che fa parte dell'egittomania dell'epoca) ed ebbe nei confronti dei nomi popolari un atteggiamento contraddittorio: conferì un ruolo importante a nomi immotivati, reputati vecchi e presi in prestito da una lingua all'altra qualificando invece come assurdi o ridicoli i nomi motivati, risultanti da innovazioni lessicali. Sarà necessario attendere la comparsa dell'etnobotanica perché questi nomi siano finalmente oggetto di uno studio razionale. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La zucca Turban è facilmente riconoscibile dalla sua forma, alla quale è debitrice del suo nome. Questa è forse la zucca indiana mamillare cilena di Molina (Hist. Chili, 1808) descritta come con frutto sferoidale, polpa dolce e sapore simile alla patata dolce. Nel 1856 Naudin (Ann. Sci. Nat.) descrive la turban rouge e la turban nouveau du Brésil, quest'ultima di recente introduzione dal Sud America. La sua descrizione concorda con la Cucurbita clypeiformis tuberoso e verrucoso, vista da J. Bauhin (Hist. Pl., 1651) nel 1607. Lo Zapilliot, dal Brasile, pubblicizzato da Gregory nel 1880, e citato da Vilmorin per aver raggiunto la Francia dal Sud America intorno al 1860, assomiglia alla zucca Turban nella forma. Questa prova, così com'è, indica il Sud America come punto di origine di questa pianta.

Le zucche dei nostri mercati, per eccellenza, sono le zucchine e le Hubbard, con altre varietà di gambo succulento. Queste trovarono rappresentazione nel nostro catalogo nel 1828 (Thornburn, Cat., 1828) nella varietà chiamata Com. Porter's Valparaiso, che fu portata dal Cile poco dopo la guerra del 1812. Nel New England Farmer, l'11 settembre 1824, si fa notizia di una specie di zucca o zucca del Cile, che è forse la Valparaiso. Gregory dice che la zucca Hubbard è di origine sconosciuta ma assomiglia a un tipo portato da un capitano di mare delle Indie occidentali. Si dice che il Marblehead, introdotto da Gregory e distribuito nel 1867, provenisse direttamente dalle Indie occidentali. Autumnal Marrow o Ohio, fu introdotto nel 1832 e fu esposto nelle sale della Massachusetts Horticultural Society.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Sturtevant, E. Lewis, Sturtevant's notes on edible plants, 1919)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pubblicazione di Sturtevant ha permesso di raccogliere molti dati (coerenti per molte specie, ma scarsi per altre) su 2897 specie di piante commestibili tratte da 560 fonti antiche e moderne cosa che rese il testo uno standard di riferimento per molto tempo. Oggi il libro è obsoleto, ma mette in evidenza molte vecchie fonti che altrimenti rimarrebbero trascurate.

Il botanico americano ha fatto un buon uso di fonti europee e nordamericane prendendo spunto anche da riferimenti botanici pre-linnei nonostante abbia avuto accesso solo ad alcune delle molte edizioni di tali libri. Le sue informazioni sono molto più limitate quando si tratta di aree tropicali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La grande diversità delle zucche commestibili, il polimorfismo dei loro frutti, sono altrettante testimonianze dell'antichità della coltivazione di queste piante. La loro prima patria era precedentemente sconosciuta ma in tempi piuttosto moderni a tutte le zucche coltivate è stata attribuita un'origine indiana. Forse ci siamo affidati a nomi senza valore, come Gourd of India dati dai botanici del XVI secolo. Lobel figurava un Pepo maximus indicus, che ben si relaziona con la specie C. pepo, ma non va dimenticato che l'America era allora chiamata Indie occidentali. Il fatto che si coltivassero le Cucurbitacee alimentari accomunate dai moderni alle nostre specie attuali per via dei loro nomi, pepones e cucurbitae, può aver condotto all'idea che queste piante abbiano avuto origine nelle regioni calde del Vecchio Mondo. Lo hanno pensato tutti i botanici che hanno studiato le Cucurbitaceae, come de Candolle, Naudin, Cogniaux. Nella sua Origine des plantes cultivées de Candolle ammetteva, però, la possibilità di un'origine americana solo per il gruppo della zucca (C. pepo), basandosi sulla scoperta di una varietà texana, riportata con certezza presso C. Pepo, e molto probabilmente trovata allo stato selvatico sulle rive dell'Alta Guadalupe. Anche i naturalisti americani come il Doctor Harris, Asa Gray, Trumbull e anche Fisher-Benzon, hanno dimostrato più recentemente l'origine americana di tutte le zucche.

Le testimonianze archeologiche, storiche e filologiche sembrano decisive. Pumpkins e Patissons non erano certamente conosciuti in Europa fino a dopo la scoperta dell'America. Le Cucurbitacee del Medioevo erano zucche (Lagenaria) che provengono dall'India. Generalmente immaginiamo che le zucche, piante curiose o decorative nei nostri giardini, non siano commestibili. È un errore. Alcune varietà possono essere utilizzate per il cibo, così come la Courge à la moëlle, ad esempio. Duchesne dice che la zucca trompette è commestibile. Apicio, presso i romani, diede ricette culinarie per la Gourde. Plinio ne parla come di una pianta commestibile. Bauhin ha citato due varietà di zucche alimentari. D'altra parte nessuna zucca è mai stata trovata allo stato selvatico in Asia. Non esiste un nome sanscrito per questa pianta. Nessuna specie simile o analoga è menzionata nelle opere cinesi e i nomi moderni delle zucche ora coltivate mostrano un'origine straniera meridionale. La presenza di una zucca non è stata riscontrata nell'antico Egitto. La Bibbia cita delle Cucurbitacee solo il cetriolo e l'anguria.

Ma in America è molto diverso. I primi viaggiatori nel Nuovo Mondo trovarono zucche nelle Indie occidentali, in Perù, in Florida e negli Stati Uniti prima che gli europei si stabilissero lì. La loro presenza è segnalata già a partire da Colombo. Leggiamo nella Relazione del suo primo viaggio, che il 3 dicembre 1492, entrando in un piccolo fiume (Rio Boma) vicino all'estremità orientale dell'isola di Cuba, incontrò un popoloso villaggio di indiani e vide immensi campi «piantati con diverse cose locali e calabazzas». Nel luglio 1528 Cabeça de Vaca trovò vicino a Tampa Bay in Florida «mais, fagioli e zucche in abbondanza». Nell'estate e nell'autunno del 1539, de Soto trovò la Florida occidentale «ben fornita di mais, fagioli e zucche». Queste zucche erano migliori e più saporite di quelle spagnole, cioè le zucche coltivate in Europa. Nel 1535 Jacques Cartier, il primo esploratore del San Lorenzo, vide tra gli indiani del Canada «una grande quantità di grossi meloni, cetrioli e zucchine».  

Infine nessuna zucca (courge) è citata nell'Herbarius Pataviae del 1485, prima della scoperta dell'America, mentre le zucche (potiron) si trovano nelle opere di botanici rinascimentali, in particolare Dodoens e Lobel. 

Se aggiungiamo a queste prove storiche, gli indizi tratti dalla linguistica, quelli presentati dal folklore e dall'archeologia, vedremo che gli argomenti sono decisivi a favore dell'origine americana delle nostre zucche coltivate.

I primi esploratori designarono le zucche americane con i nomi che erano in uso tra i nativi, dimostrando così che le riconoscevano come diverse dalle Cucurbitaceae europee. Così la parola Squash che è sopravvissuta nelle lingue anglosassoni è un termine derivato dalla lingua degli indiani del Nord America. Secondo Pierre Martyr, uno dei primi storici d'America, la zucca gioca un ruolo essenziale nelle favole mitologiche indiane dei popoli pellerossa, analogo a quello dell'uovo cosmico orfico e brahmanico. Nel folclore delle etnie europee, le Cucurbitaceae simboleggiano la fecondità e l'abbondanza, per il gran numero dei loro semi e l'opulenza delle loro forme.

Semi di C. maxima e C. moschata sono stati trovati in tombe peruviane nel cimitero di Ancon, vicino a Lima, e determinati come tali da Wittmack e Naudin. I dubbi che si poteva avere un tempo sul tempo delle tombe di Ancon, sono oggi tranciati; sono certamente precolombiane e  corrispondono al periodo Inca che va dal XII al XV secolo.

Nonostante la presenza di semi di zucca nelle tombe di Ancon, è ancora aperta l'ipotesi che potrebbe appartenere al Vecchio Mondo ed essere stata trasportata in America in epoca sconosciuta e prima della scoperta di Colombo. Un manoscritto del XIV secolo, Tacuin, una traduzione latina di un'opera araba, raffigura una ‘Courge’. Si riconosce, secondo il dottor Bonnet, la forma molto caratteristica della zucca africana o della C. di Napoli. Nel famoso Livre d’Heures di Anna di Bretagna, una figura di ‘Courge’ viene chiamata «Quegourde de Turquie» (in latino Colloquintidae). Decaisne sostiene che sia la zucca (C. pepo) e Bonnet dice che è più probabile sia C. moschata, chiamata zucca africana o C. des Bédouins. Il Livre d’Heures di Anna di Bretagna fu scritto intorno al 1508, solo pochi anni dopo la scoperta dell'America.

Ad eccezione delle Pumpkins e Giraumons, le zucche non sono molto popolari in Francia. In Inghilterra, la Courge à la moëlle (Vegetable marrow), che è una varietà della Courge des Patagons, è una delle verdure più popolari e molto economiche. La Courge à la moëlle si mangia solo quando è molto giovane; sarebbe stato introdotto in Inghilterra intorno al 1700, secondo alcuni. Tuttavia Sabine dice che la pianta fu sperimentata nel 1816 nel giardino della London Horticultural Society: «Sono stato solo in grado di ottenere» disse «informazioni certe su questa ‘Gourde’; è certamente nuova per questo paese e credo sia stata introdotta da seme portato da un monaco dell'India o probabilmente della Persia dove è chiamato Cicader».

La Coucourzelle o Zucca Italiana, inviata dall'Italia al Duc d'Orléans nel 1820, fu coltivata per la prima volta nel Potager de Versailles.  La Courge de l’Ohio fu importata dagli Stati Uniti intorno al 1820 e ricevuta in Francia dall'Inghilterra nel 1845. Le Bon Jardinier del 1840 annota come novità la Courge sucrière dal Brasile. Questa zucca fu data al signor Vilmorin nel 1839, dal signor Quetel di Caen. La zucca Hubbard, introdotta nel 1857 da Grégory, apparve nel catalogo di Vilmorin nel 1868 come originaria degli Stati Uniti. Tra le razze modernissime vediamo la Potiron rouge vif d’Etampes (Vilmorin, 1873-74); Potiron Mammouth (Vilmorin, 1894-95), con polpa superiore a quella di P. jaune gros che è la varietà più diffusa a Parigi; la Potiron bronzé de Montlhéry, novità del 1895, etc... Secondo Naudin, il Potiron Turban (o Giraumon) è probabilmente di origine americana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Gibault, G., Histoire des Legumes, 1912)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal punto di vista storico Gibault, che non ha trascurato alcuna fonte di documentazione, chiarisce molti fatti e riduce al loro giusto valore alcune leggende prendendo spunto da fossili e piante provenienti da città lacustri; da prove o probabilità tratte da etimologia sanscrita, greca, araba o gotica; prendendo ispirazione da erbari antichi e da citazioni e descrizioni di autori antichi, naturalisti, storici, geografi, scrittori e perfino poeti. Addirittura da economisti per quanto riguarda il valore di mercato o il prezzo delle derrate alimentari di diversi paesi; utilizza l'iconografia e le informazioni tratte dalle riviste di orticoltura e dai cataloghi degli orticoltori… tutto viene raccolto, analizzato, classificato, interpretato e presentato al pubblico in una forma tanto sostanziale quanto gradevole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(...) Gli erbari del XVI e della prima parte del XVII secolo sono preziose fonti di informazioni per risalire alle origini della specie coltivata di Cucurbita. Prima del contatto con il Nuovo Mondo nel 1492, gli erbari non contenevano alcuna descrizione o illustrazione riconoscibile di queste piante. Sicuramente piante grandi e distinte come le zucche non sarebbero sfuggite all'attenzione di un astuto gruppo di osservatori come sembravano essere gli erboristi-studiosi del XV secolo. Un secolo dopo la scoperta dell'America la documentazione tracciata attraverso i vari erbari indica che due delle specie annuali di Cucurbita avevano raggiunto l'Europa e una di esse (C. Pepo) era rappresentata da diverse varietà.

Fuchs (1542) sembra essere stato il primo a notare una cucurbita coltivata e a produrne una figura riconoscibile. La sua illustrazione, denominata "Türckisch Cucumer", è evidentemente una varietà di Cucurbita Pepo. Le foglie profondamente lobate e l'aspetto generale della pianta suggeriscono che potrebbe essere vicina alle nostre odierne zucchine. Dalla forma del frutto vi è motivo di ritenere che l'illustrazione etichettata "Meer Cucumer" sia una varietà di C. Pepo attualmente noto come "Small Sugar". Come le illustrazioni della maggior parte degli erboristi, quelle di Fuchs sono fatte per adattare le piante alle dimensioni del blocco di legno, ma non c'è dubbio che le figure citate siano propriamente riferibili a C. Pepo.

Matthiolus (1560) ha un'illustrazione di quella che sembra essere una zucca (C. Pepo) etichettata Cucurbita indica, Daléchamps (1587) ha una copia di questa tavola, che Seringe (1828) assegna impropriamente a C. moschata. Sebbene le foglie non siano sezionate così fortemente come il tipico C. Pepo, l'andamento delle restanti caratteristiche morfologiche fa sembrare certo che la pianta sia riferibile a questa specie.

Dodoens (1563) ha riprodotto una figura (Pepones lati) di quella che sembra essere una forma di Cucurbita PepoA giudicare dalla forma del frutto, questa forma deve essere strettamente correlata all'attuale varietà "White Bush Scallop". Daléchamps (1586) nella sua Historia generalis plantarum, ha illustrato per la prima volta una varietà verrucosa di C. Pepo sotto il nome di Cucurbita verrucosa. Bauhin (1650-51) ha una copia rovesciata della figura di Daléchamps, e Bailey ('29) ha senz'altro ragione nell'assegnarla a C. Pepo anche se le foglie e i fiori non si conformano molto strettamente a questa specie.

Lobelius nel 1591 illustra cinque varietà di Cucurbita Pepo (Pepo oblongus, Pepo rotundus compressus Melonis effigie, Melo-pepones latiores Clypeiformes, Melo-pepo teres e Melo-pepo compressus alter). I frutti raffigurati sotto il nome Melo-pepones latiores Clypeiformes sono identificabili senza dubbio come una forma della zucca estiva di tipo scallop, probabilmente la varietà "Golden Custard". Inoltre Lobelius ha riprodotto la prima illustrazione di una pianta sicuramente riferibile a C. maxima, sotto il nome Pepo maximus Indicus compressus.

Ancora nel 1590 Tabernaemontanus è particolarmente ricco per numero di varietà di Cucurbita Pepo che vengono illustrate. Si calcolano in totale nove forme, alcune delle quali possono essere riconosciute come strettamente affini alle nostre varietà odierne. Il Melopepo clypeatus è senza dubbio una forma della zucca estiva "White Bush Scallop"; la Cucurbita capitata è molto simile alla prima con una forma del frutto leggermente diversa. Melopepo teres e Melopepo compressus sono apparentemente forme a cespuglio poiché mancano di viticci. La forma del frutto indica che il Pepo maximus oblongus è probabilmente un tipo di Vegetable Marrow; lo stesso vale per Pepo Indicus minor oblongus. La forma designata come Pepo Indicus minor rotundus è abbastanza simile nella forma alla nostra varietà moderna "Perfect Gem". Pepo Indicus minor clypeatus e Pepo Indicus minor angulosus la cui forma del frutto e l'aspetto generale ricordano fortemente la moderna zucca "Table Queen" o "Acorn". I risultati di questa indagine forniscono una forte evidenza che nessuna delle specie coltivate di Cucurbita era nota ai botanici del mondo occidentale prima del 1492.

Sturtevant ha riassunto questa linea di prove in una dichiarazione straordinariamente lucida "Se consideriamo la stabilità dei tipi e la registrazione delle variazioni che compaiono nelle piante coltivate, e il fatto aggiuntivo che, per quanto determinato, gli originali dei tipi coltivati ​​hanno i loro progenitori in natura e non sono i prodotti della coltura, sembra ragionevole supporre che la registrazione dei tipi getterà luce sul paese di origine. Da questo punto di vista, possiamo, quindi, concludere che, poiché i tipi attuali sono stati tutti registrati nel Vecchio Mondo dal XV secolo e non sono stati registrati prima del XIV, ci deve essere una connessione tra il momento della scoperta dell'America e il momento dell’arrivo della zucca in Europa".

Nel secolo successivo almeno due specie (C. Pepo e C. maxima) furono riconosciute dagli erboristi e per una di esse (C. Pepo) si conoscevano diverse varietà. Sembra strano che C. moschata non sia stato introdotto in Europa durante questo periodo. Ci possono essere diverse ragioni per questo: (1) In generale questa specie è più soggetta alle basse temperature e alle giornate corte rispetto a C. Pepo o C. maxima; (2) dati di distribuzione recenti indicano che si trova solo nelle regioni più inaccessibili del Messico, dell'America centrale e della Colombia.

Il concetto che le specie coltivate di Cucurbita fossero autoctone del Vecchio Mondo sembra aver avuto origine con Naudin (1856). All'inizio della sua ampia e illuminante memoria, che ha posto le basi sperimentali per la nostra comprensione delle specie di questo gruppo, dedica un solo paragrafo alla loro origine. Afferma che delle sei specie conosciute (C. moschata, C. Pepo, C. maxima, C. melanosperma, C. perennis e C. digitata) le prime tre sono state coltivate per un considerevole periodo di tempo in Europa. La natività di C. maxima è certamente indeterminata. Si sostiene, senza documentazione, che C. Pepo è noto ai romani e ai greci almeno dai tempi di Plinio. Secondo Naudin, C. maxima e C. moschata sono introduzioni più moderne nei giardini europei ("leur introduction dans nos jardins ne remontant guère au dela de deux siècles").

Naudin, parlando di Cucurbita ficifolia (C. melanosperma Gaspar.), afferma che fu introdotta in Europa intorno al 1800, probabilmente dall'Asia meridionale, come indicato dal suo nome comune, "Courge de Siam". Rapporti di viaggiatori lo portarono a credere che fosse coltivata in Cina su larga scala, confermando così la sua opinione che la specie fosse originaria dell'Asia. Naudin pensava che la C. ficifolia avesse importanti potenzialità come pianta economica, da utilizzare come alimento umano se opportunamente preparata nelle fasi immature, e come alimento per il bestiame per le sue qualità di lunga conservazione.

In un documento successivo, Naudin (1859) riporta ulteriori lavori sperimentali con vari generi di Cucurbitaceae. Non fa alcuna affermazione positiva sull'origine delle cucurbitacee coltivate, anche se deduce che C. moschata è indigena del Vecchio Mondo. Poiché la terminologia primitiva dei frutti delle cucurbitacee era molto confusa, è altamente probabile che Naudin abbia scambiato il riferimento di Plinio ad angurie, meloni, cetrioli e zucche includendo alcuni membri del genere Cucurbita. Non ci sono prove a sostegno della convinzione che Plinio avesse familiarità con quest'ultimo gruppo.

La convinzione ampiamente diffusa che le tre specie comunemente coltivate di Cucurbita fossero di origine diversa da quella americana fu continuata da De Candolle (1883) su prove per la maggior parte discutibili. I ricercatori successivi (Pittier, 1926; Herrera, 1941) hanno propagato le opinioni di De Candolle senza riesaminarne criticamente le basi. Dalla discussione di De Candolle sull'origine delle quattro specie in esame è evidente che egli è positivamente favorevole a un'origine del Vecchio Mondo solo nel caso della Cucurbita maxima e vi è qualche motivo di dubitare che ritenesse che la documentazione fosse interamente convincente.

La migliore prova che De Candolle poté raccogliere per la sua teoria del Vecchio Mondo sull'origine della Cucurbita maxima fu la citazione di Hooker (1871) come ad esempio "Alta Guinea. Nupe sul Niger, apparentemente indigeno". Si fa riferimento anche alla scoperta di questa specie da parte di Welwitsch in Angola, ma non vi è alcuna indicazione se fosse o meno una pianta autoctona. Il fatto che le piante di Barter fossero raccolte lungo le rive di un grande fiume farebbe supporre che si tratti di una specie introdotta. La collezione di Welwitsch è stata realizzata all'interno o intorno a un villaggio, ed è quindi molto probabile che le piante fossero fughe. Nella migliore delle ipotesi, gli argomenti di De Candolle a favore di un'origine nel Vecchio Mondo di C. maxima poggia su una base estremamente fragile.

Quanto alla Cucurbita Pepo, De Candolle presenta le prove documentate a favore e contro la sua origine nel Vecchio Mondo. La sua posizione può essere riassunta affermando che la documentazione storica non contraddice l'opinione che questa specie possa essere di origine americana.

Secondo De Candolle, l'origine della Cucurbita moschata presenta un problema irrisolto. Tuttavia, è incline ad attribuire un certo peso all'affermazione non provata che questa specie fosse più diffusa nell'Asia meridionale che in qualsiasi altra regione durante il XVII secolo. Come affermato in precedenza, C. moschata era sconosciuta ai botanici del XV e XVI secolo. La prima testimonianza del suo verificarsi sembra essere l'eccellente illustrazione pubblicata da Van Rhede in Hortus Malibaricus (1688). Durante il XVII e il XVIII secolo è presente in diverse flore dell'Asia meridionale e dell'Africa (Wight, 1843; Clarke, 1879; ecc.). Tuttavia, in nessun caso è stata dichiarata una pianta autoctona.

Evidentemente la Cucurbita moschata è stata introdotta nell'orticoltura europea dall'Asia meridionale (Naudin, 1856), piuttosto che direttamente dalle Americhe. I nomi comuni dati alle varietà di questa specie erano indicativi dell'origine del Vecchio Mondo, cioè "Pleine de Naples", "Pleine de Barbarie", "Muscade de Provènce", ecc.

De Candolle suggerisce che la Cucurbita ficifolia sia di origine americana, poiché fino al momento delle sue indagini tutte le specie perenni del genere erano originarie della California o del Messico, mentre si presumeva che le specie annuali fossero di origine del Vecchio Mondo. Questa argomentazione ha ora perso tutta la forza che poteva aver avuto. Bailey (1943) ha descritto diverse specie del Nord America che sono indubbiamente annuali.

In una rassegna critica di alcune fasi del libro di De Candolle, Gray e Trumbull ('83) presentano le prove di un'origine americana delle tre specie annuali presentando prove evidenti per le loro conclusioni, seguendo uno schema cronologico il più preciso possibile. In primo luogo, vengono citati i rapporti di molti dei primi esploratori e storici. Sebbene sia solitamente difficile o impossibile determinare con precisione a quale specie fanno riferimento questi scrittori, è quasi certo che si tratti di una delle tre specie annuali di Cucurbita, probabilmente C. Pepo. Si citano i resoconti dei seguenti esploratori: Columbus, Cuba, 1492; Cabeça de Vaca, Florida, 1528; De Soto, Florida e Mississippi, 1539-41; Cartier, Canada, 1535; Sagard, Canada, 1642; Lahontan, Canada meridionale, 1703; anche gli storici che hanno menzionato zucche, macock e zucche: il capitano John Smith, 1606-08; Strachey, 1610; Higginson, 1629; Beverly, 1705.

Ulteriore supporto è fornito dalle opere degli erboristi del XVI secolo: Fuchs, Dodoens, Matthiolus, ecc. È chiaro, come sottolineano Gray e Trumbull, che le Cucurbita erano considerate straniere o nuove da questi botanici. Inoltre, la parola "indiano" applicata all'area di origine di varie specie non significava necessariamente che provenissero dall'Asia, ma piuttosto dalle Indie occidentali o dalle Americhe. Molta confusione è derivata da un'errata interpretazione della parola "indiano": De Candolle e altri, per la maggior parte, l'hanno interpretato in senso stretto come applicabile solo all'India britannica.

Gray e Trumbull considerano l'affermazione di Nuttall (1818) di particolare importanza nello stabilire l'origine americana della Cucurbita coltivataNuttall cita due specie, C. Lagenaria e C. verrucosa (Waned Squash), e di quest'ultima osserva: "Coltivata anche dagli indiani del Missouri alle sue origini". La Cucurbita verrucosa è una delle varietà verrucose di C. Pepo. Il lavoro di Trumbull (1876) nel tracciare l'origine indiana delle parole squash, cushaw e macock è considerato da Gray e Trumbull come particolarmente significativo nello stabilire un caso per l'origine nordamericana di Cucurbita Pepo e C. moschata. Trumbull riassume le sue conclusioni: "Per quanto riguarda le varietà nordamericane, l'evidenza sembra conclusiva. Queste varietà portano almeno nomi indiani, che risalgono alla prima venuta degli europei, e di queste varietà non abbiamo menzione prima che fossero trovate in Nord America."

Gli esploratori di piante russi (Bukasov, '30; Zhiteneva, '30) hanno contribuito con un'immensa quantità di dati alla nostra conoscenza della distribuzione della Cucurbita coltivata. In breve, hanno scoperto che la più grande diversità del gruppo si trova nel Messico centrale, dove Cucurbita Pepo, C. moschata, C. mixta (una variante di C. moschata) e C. ficifolia si trovano insieme sotto coltivazione, nella stessa area generale (Mesa Centrale). È importante notare l'omissione di C. maxima dall'elenco di cui sopra. Apparentemente questa specie non è mai stata coltivata dai nativi del Messico, dell'America centrale o delle porzioni settentrionali del Sud America.

La Cucurbita ficifolia, secondo gli investigatori russi, è la specie più diffusa del gruppo. Si trova in tutti i paesi dal Messico al Cile lungo la Cordigliera. Ci sono forme a semi bianchi e a semi neri; in caso contrario, la composizione della specie è molto stabile sull'intero areale. La Cucurbita moschata è ampiamente distribuita quasi quanto la C. ficifolia. È ampiamente coltivato in Messico, America Centrale e Colombia, ma non si estende verso sud fino al Perù e al Cile. A Panama e in Colombia è l'unica specie coltivata di Cucurbita. Le forme che si trovano in Messico e in parti dell'America centrale sono tipicamente a seme bianco, mentre quelle di Panama e Colombia sono a seme marrone. I russi ritengono che il centro di distribuzione di C. Pepo debba trovarsi a nord della Mesa Central in Messico, poiché è completamente assente dalle loro raccolte sudamericane e appare solo scarsamente nei loro registri dal Messico centrale.

Parodi ('35) ha dato un contributo significativo all'argomento nel suo studio dell'agricoltura preispanica in Argentina. Scopre che la Cucurbita maxima era una delle principali specie di piante coltivate dai Guarani nel nord-est dell'Argentina e in Paraguay al momento della conquista del Rio de la Plata.

Cardenas ('44), dopo aver completato gli studi sulle Cucurbita coltivate della Bolivia, giunge alla conclusione che all'epoca della conquista c'erano diverse varietà di Cucurbita maxima presenti nelle valli andine del Sud America. C. Pepo e C. moschata, invecesono evidentemente di recente introduzione nel complesso di colture coltivate di Bolivia, Paraguay e Argentina. Suggerisce che un'esplorazione approfondita delle porzioni temperate e tropicali della Bolivia e del Perù potrebbe scoprire parenti selvaggi delle cucurbitacee coltivate che sarebbero utili per decifrare le loro relazioni. La base di questo suggerimento è la scoperta di una piccola zucca sbiadita (el "joko") in una regione isolata della Bolivia (canyon superiore del Rio Caine). Questa zucca è coltivata a scopo alimentare e si ritiene sia strettamente imparentata con C. Pepo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Whitaker, Thomas W., American origin of the cultivated cucurbits, 1947)