(1)
Pianta notevolmente più colorata della L. Winter Red, con foglie corte oblunghe, a margini spigolosi, piuttosto che veramente dentate; lamina a volte un po' ondulata, a forma di cucchiaio, macchiata e abbondantemente lavata di marrone. Cespo arrotondato, abbastanza pieno, composto e circondato da foglie piuttosto accartocciate, di un verde tenero, abbondantemente screziate di bruno bronzo. E' una lattuga molto rustica, di ottima qualità e poco ingombrante; ma va detto che monta rapidamenete a seme rispetto alla L. Rouge d'hiver.
(Vilmorin-Andrieux & Cie, Les plantes potagères. Description et culture des principaux légumes des climats tempérés, 1883)
GRIN TAXONOMY: Lactuca sativa L. var. capitata L., Sp. Pl. 2:795. (1753) [or Lactuca sativa Crisphead (Iceberg or Cabbage) and Butterhead Lettuce Groups] - Asteraceae Bercht. & J. Presl, nom. cons.
IPNI TAXONOMY: Lactuca sativa var. capitata L., Sp. Pl. 2:795. (1753). [= Lactuca sativa L., Sp. Pl. 2:795. (1753)] - Asteraceae Bercht. & J.Presl, Prir. Rostlin 254 (1820), nom. cons.
Dal Mediterraneo la pianta fu coltivata in tutta l'area d'influenza latina, anche se fuori d'Italia veniva consumata soprattutto cotta (solo nel XVIII secolo la lattuga cominciò ad essere mangiata cruda anche in Francia e in Inghilterra).
Portata per la prima volta nelle Americhe da Cristoforo Colombo, tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVIII secolo molte cultivar furono sviluppate in Europa (in particolare in Olanda e Inghilterra). I libri pubblicati tra la metà del XVIII e l'inizio del XIX secolo descrivono diverse cultivar oggi presenti nei nostri orti.
Raffigurata e denominata θρίδαξ ἀγρία nel Codex Vindobonensis Med. Gr.1, una recensione illustrata del Περὶ ὕλης ἰατρικῆς (De materia medica) di Dioscoride Pedanio realizzata nel I secolo d.C. (* cfr. foto della scheda), successivamente si trova in molti scritti medievali, specialmente come erba medicinale: è citata nel Capitulare de villis (ca. 770-813), lldegarda di Bingen ne accennò nei suoi scritti sulle erbe officinali tra il 1098 e 1179, si trova nel Tacuinum sanitatis (1380) di Halaf Ibn-Abbas Zahrawi (* cfr. foto della scheda) e molti dei primi erbari ne descrivevano gli usi.
Si trova anche in un'illustrazione in miniatura completata nel 1508 per Les Grandes Heures d'Anne de Bretagne sotto il nome di Lactucca/Jaulnete: in base all'ipotesi fatta da Antoine-Laurent de Jussieu si tratta di una Lactuca sativa, per J. Decaisne si tratta invece di Senecio spp. (* cfr. foto della scheda).
La lattuga viene descritta (* cfr. foto della scheda) già da L. Fuchs in De Historia Stirpium (1542), quindi da H. Bock (Tragus) in New Kreuterbuch von Underscheidt, Würckung und Namen der Kreuter, so in teutschen Landen wachsen (1560) e successivamente da J. Dalechamps in Historia Generalis Plantarum (1587).
Joachim Camerarius nel testo De Plantis epitome utilissima (1586) scritto con Pietro Andrea Mattioli fornì le descrizioni delle tre principali lattughe moderne: lattuga a testa, lattuga a foglie sciolte (da taglio) e lattuga romana (* cfr. foto della scheda).
T.W. Whitaker (Salads for everyone - a look at the lettuce plant., Econ. Bot. 23, 1969) ha concluso che gli antenati della lattuga coltivata sono autoctoni del bacino del Mediterraneo orientale, probabilmente l'Egitto. Altri studiosi hanno menzionato parte della regione europeo-siberiana come principale centro di origine di L. sativa: ad esempio A.J.H. Rulkens (1987) presume che la lattuga coltivata sia originaria dell'area Kurdistan-Mesopotamia invece che dell'Egitto.
Lo studio Boukema et al. (1990) ha indicato che l'addomesticamento della lattuga è avvenuto nel sud-ovest asiatico nella regione tra Egitto e Iran.
I.M. de Vries (Origin and domestication of Lactuca sativa L., 1997) ha ritenuto che le lattughe coltivate fossero state selezionate nel sud-ovest asiatico in particolare nella zona intorno all'Eufrate e al Tigri basandosi soprattutto sul fatto che il maggior numero di specie selvatiche correlate si trovano tra questi due fiumi, mentre solo una specie selvatica affine (L. serriola) si trova nella Valle del Nilo.
In realtà il genere Lactuca L. non è mai stato rivisto nella sua interezza fino alle ricerche e studi di Lebeda et al. (2004) che hanno fornito una panoramica della distribuzione biogeografica delle specie selvatiche sulla base dei dati disponibili in letteratura mostrando che l'Asia (51 specie) e l'Africa (43 specie) sono i due centri di diversità principali. I due ricercatori sono riusciti a elaborare una classificazione in base a criteri tassonomici e biogeografici che divide il genere in sette sezioni e due gruppi geografici (africano e nordamericano). Recentemente Wang et al. (2013) hanno approfondito l’argomento con un focus sul centro cinese della diversità: questo studio colma il divario nella nostra comprensione del centro di diversità asiatico del genere Lactuca L. e dei generi correlati, in particolare per le specie cinesi anche se manca ancora uno studio sulla diversità africana.
Generalmente le cultivar di lattuga sono state classificate in sette gruppi (Křístková et al., 2008; de Vries, I.M., 1997):
- Butterhead (a cappuccio) probabilmente selezionata in Europa, composto da lattughe dal cespo con foglie larghe morbide e tenere.
- Crisphead, composto da due sottotipi: uno denominato Iceberg più grande per peso e volume con cespo denso e l'altro Batavia più piccolo con un cespo meno denso.
- Cutting (da taglio), annovera lattughe che non formano un cespo compatto con foglie che variano sia per il colore che va dal giallastro al verde scuro sia per margine fogliare (intero, arricciato), dimensioni, consistenza (croccante, morbida).
- Cos (romana), composto da lattughe con cespo allugato.
- Stalk (asparago), composto da lattughe con un gambo spesso e allungato e foglie spesse, ma va precisato che ne esistono due tipi di lattuga: uno rappresentato dalle cultivar cinesi con foglie tendenti al verde/grigio chiaro che possono essere molto simili a quelle del gruppo Cos. L'altro è caratterizzato da cultivar con foglie lanceolate e apice appuntito.
- Latin, composto da lattughe con foglie coriacee spesse di colore verde scuro (è di origine europea, ma anche coltivato in tutto il Mediterraneo compreso il Nord Africa, in Sud America e su piccole aree negli Stati Uniti).
- Oilseed (non completamente reso domestico), composto da lattughe con semi più grandi rispetto a quelli di altre utilizzate per ottenere un olio commestibile.
Horti maxime placebant quae non egerant igni parcerentque ligno, expedita res et parata semper, unde et acetaria appellantur, facilia concoqui nec oneratura sensus cibo et quae minime accenderent desiderium panis.
(Plinius Secundus, Gaius, Naturalis Historia - Liber XIX - 58)
Dell'orto piacevano soprattutto quei prodotti che non richiedevano il fuoco e che risparmiavano legna, cose veloci e sempre pronte, da qui sono dette anche insalate, facili ad essere digerite e non con la pesantezza del gusto nel cibo e che suscitavano pochissimo desiderio di pane.
(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia - Liber XIX - 58)
Ricordando che la lattuga può essere un ingrediente dell'insalata, gli antichi Romani chiamavano proprio l'insalata acetaria perché era condita principalmente con l'aceto. Il termine insalata, presente nella lingua italiana dal XIV secolo, viene dal participio passato del verbo latino insalare, cioè cospargere di sale.
Il nome del genere è tratto dal latino lac (latte) in riferimento al latice bianco tipico della pianta; l'epiteto specifico invece è tratto dal latino sativus-a-um derivato da satus ovvero sia il participio perfetto passivo del verbo latino serere (seminare, piantare): fa dunque riferimento a qualcosa che si semina o pianta, domestico.
Il nome della varietà deriva invece dal latino caput che significa testa.
Bisogna purtroppo segnalare una incredibile riduzione delle heirloom cultivar in commercio: come per tutte le piante che mangiamo ci troviamo ad affrontare un'omologazione sempre più massiccia e un impoverimento della biodiversità.
Per la metà del prossimo secolo le stime valutano attorno al 25% la perdita di specie vegetali presenti sul pianeta, a causa delle deforestazioni, delle pratiche di monocultura e di controllo delle acque, del superpascolo e dell'urbanizzazione. Per fare un esempio basta citare la ''rivoluzione verde'' (che non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari) portata avanti in paesi come l'India, l'Indonesia e la Cina (in cui il fabbisogno alimentare costituiva il problema primario) che ha permesso di risolvere molto poco questo problema inasprendolo con un prezzo elevato: sono state coltivate piante ad alto rendimento mentre tutte le altre, coltivate da millenni, sono state abbandonate causando la loro quasi completa estinzione. Oltre alla perdita di biodiversità e al degrado del suolo, le tecniche della rivoluzione verde sono molto inquinanti perché fanno pesante affidamento sui fertilizzanti e fitofarmaci chimici, alcuni dei quali devono essere prodotti a partire da combustibili fossili, rendendo l'agricoltura progressivamente basata sui prodotti del petrolio. Ma soprattutto ha causato dipendenza economica nel caso di utilizzo di OGM e introdotto grandi cambiamenti in un mondo dove la maggior parte delle persone dipende ancora dall'agricoltura per la sopravvivenza, sponsorizzando un'agricoltura di vasta scala ai danni di piccoli contadini che non erano capaci di competere con l'alta efficienza delle sementi della rivoluzione verde.
Proprio a proposito della tutela della biodiversità è doveroso omaggiare Nikolaj I. Vavilov, un grande scienziato del secolo scorso che ben ha aiutato a far capire quanto le piante e l'uomo si siano venuti incontro. Per chi è religioso (ma anche per chi non lo è) è come se tutto questo avesse un fine: custodire la vita umana sulla Terra. Servirsi della fisica per incarnare la metafisica. Lo scienziato russo lo dice chiaramente: la mappa della diversità varietale ricalca la mappa della diversità delle etnie. La conoscenza delle aree di origine delle specie coltivate è importante per contrastare l'erosione genetica, la perdita del germoplasma conseguente alla scomparsa di ecotipi e alla scomparsa degli habitat (per esempio le foreste pluviali) e per limitare l'estendersi dell'urbanizzazione.
Vavilov facendosi forte della sua teoria che lega la diversità delle piante a quella geografica riuscì a portare a conoscenza i centri di origine delle piante coltivate: Messico meridionale e centro America (Guatemala, Honduras e Costa Rica), Perù-Equador-Bolivia, America meridionale (l'isola Chiloè nel sud del Cile; Brasile-Paraguay), Mediterraneo, Medio Oriente (Asia minore, Transcaucasia, Iran, altopiani del Turkmenistan), Etiopia, Asia centrale (Punjab, Kashmir, Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan, zona montuosa del Tian Shan), Indo-Birmano (Assam e Birmania), India (Indocina) e Cina.
La sua teoria dimostra che in diverse zone del pianeta si sono sviluppate civiltà in modo indipendente e in luoghi isolati che hanno dato un impulso fondamentale all'agricoltura. La civiltà e l'agricoltura non si sono sviluppate intorno ai grandi fiumi ma in zone montagnose o collinari, ricche di diversità, giungendo solo successivamente in ampie vallate vicine ai corsi d'acqua. Punto fondamentale del suo studio e della sua ricerca era coniugare l'insieme dei dati con le conoscenze locali, il contesto ecologico, gli usi culinari e sociali del materiale raccolto cercando sempre una relazione con le comunità ma soprattutto evidenziare che i centri di origine sono un serbatoio fondamentale di diversità.
Dirigendo la sua attenzione verso le piante domestiche proprio come aveva fatto Alphonse de Candolle (il padre Augustin Pyrame de Candolle fu tra i primi, con Jean-Baptiste de Lamarck, A. von Humbolt, A. Bonpland e A. Engler a fare ricerche e studi sui centri di origine delle piante) nel 1932 arrivò a riconoscere che: «Uno dei fattori più essenziali per comprendere il processo di evoluzione negli organismi viventi è la distribuzione geografica delle specie e delle varietà nel tempo presente e nel passato».
Lo studio delle leggi della distribuzione geografica delle risorse vegetali e l'accertamento dell'enorme diversità infraspecifica della maggior parte delle colture hanno consentito non solo di determinarne la localizzazione ma ha anche offerto l'opportunità di accertare il periodo di origine delle piante più importanti per la coltivazione. Nel 1924 Vavilov scrisse: «La storia e l'origine delle civiltà umane e dell'agricoltura sono, senza dubbio, molto più antiche di quanto ci rivela qualsiasi documentazione antica sotto forma di oggetti, iscrizioni e bassorilievi. Una conoscenza più intima delle piante coltivate e della loro differenziazione in gruppi geografici ci aiuta ad attribuire la loro origine ad epoche molto remote, dove 5000 oppure 10000 anni rappresentano solo un breve momento».
L'identificazione di parenti selvatici delle colture oggi domestiche è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare nel XXI secolo e nel futuro. Ciò è dovuto al loro potenziale utilizzo nel miglioramento delle piante per affrontare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, la crescente scarsità di cibo e acqua e per affrontare nuovi parassiti e fitopatologie.
Proprio per questo un principio chiave della biologia evolutiva e vegetale è capire come le piante rispondono e si adattano ai cambiamenti delle condizioni ambientali, che possono essere meglio comprese sfruttando la diversità genotipica e studiando le connessioni tra genotipo e fenotipo: l'individuazione dei parenti selvatici (CWR) delle colture è dunque fondamentale. Sebbene Vavilov avesse già riconosciuto il potenziale dei CWR (Vavilov, N.I., 1926), i progressi degli scienziati hanno approfondito meglio il potenziale dei CWR come fonte di diversità e nuovi tratti per il miglioramento delle popolazioni coltivate. Tuttavia questi progressi scientifici sono ostacolati dal fatto che non abbiamo ancora identificato i CWR di molte importanti specie di colture: la storia evolutiva del cavolo, inclusa l'identificazione del parente selvatico vivente più vicino e l'origine dell'addomesticamento non è ancora chiara a causa della confusione tassonomica e della mancanza di prove biologiche e archeologiche (la confusione tassonomica è forse meglio evidenziata da L.H. Bailey che nel 1930 ha affermato: «Alcune di queste piante sembrano essere più confuse in letteratura che in natura»).
🠖 Un altro argomento che riveste importanza fondamentale è che il graduale passaggio dalla caccia e raccolta alla coltivazione di piante e all'allevamento è iniziato tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene, circa 12000–10000 anni fa (Fuller et al., 2014; Arranz-Otaegui et al., 2018). La conseguente nutrizione sostenibile delle grandi popolazioni sedentarie rappresenta una delle transizioni più significative nel corso di 300000 anni di storia dell'Homo sapiens. Le ragioni dietro i cambiamenti comportamentali impliciti in varie popolazioni umane rimangono molto dibattute, ma è probabile che abbiano coinvolto una combinazione di cambiamenti climatici, cambiamenti nella vegetazione, demografia umana e sistemi sociali umani. Undici regioni geografiche sono state identificate come centri di addomesticamento di piante e animali nel continente americano, in Africa, Medio e Vicino Oriente, Asia e Nuova Guinea (Piperno, D.R., 2011) sovrapponendosi in alcuni casi a noti centri di addomesticamento animale.
L'addomesticamento coinvolge gli esseri umani che agiscono come disperdenti e modificatori dell'ambiente biotico e abiotico di una coltura, processo graduale e spesso non limitato a un singolo luogo o popolazione umana. Come risultato di questo processo, le piante coltivate e gli animali domestici condividono serie di tratti modificati denominati "sindrome da domesticazione", che si differenziano dai loro antenati selvatici (Darwin, C., The Variation of Animals and Plants under Domestication, 1868; de Candolle, A., Origin of cultivated plants, 1884; Hammer, K., Das Domestikationssyndrom, 1984; Pickersgill, B., Domestication of plants in America, 2007; Meyer et al., Patterns and process in crop domestication, 2012). Nelle piante la sindrome dell'addomesticamento coinvolge spesso frutti più grandi e zuccherini, riduzione delle difese fisiche e chimiche nelle parti utilizzate dall'uomo, semi più grandi, riduzione della dormienza dei semi, infiorescenze più grandi e semi non frantumabili (nelle erbe e nei legumi). La selezione di piante con proprietà desiderabili è stata probabilmente iniziata dai singoli agricoltori e non ha comportato una selezione di massa (in molti casi il primo tratto selezionato dall'uomo era probabilmente la non amarezza del frutto).
L'esistenza di una relazione di addomesticamento tra le antiche società umane e le specie vegetali può essere dedotta dai cambiamenti morfologici nella documentazione delle popolazioni vegetali bersaglio. In generale le caratteristiche principali associati agli ambienti di addomesticamento sono l'aumento delle dimensioni di semi, frutti e peduncoli e le variazioni di colore rispetto all'antenato selvatico.
Nell'ultimo decennio l'idea che l'addomesticamento fosse un processo rapido (rivoluzione dell'Olocene) ha cominciato a essere seriamente messa in discussione e nuove intuizioni sono emerse da studi archeobotanici che mostrano che il tempo necessario affinché i fenotipi di addomesticamento si manifestino e si fissino nelle specie domestiche in evoluzione è più lungo di quanto si pensasse in precedenza. Uno dei motivi di questo tempo prolungato potrebbe essere che molti dei tratti di addomesticamento delle colture (come l'allargamento della dimensione dei semi e la dimensione dei frutti) potrebbero richiedere molte generazioni per essere fissati in una popolazione, un altro motivo è che gran parte dell'addomesticamento non è stato, come generalmente si crede, effettuato da una selezione deliberata ma piuttosto è il risultato di una selezione (naturale) inconscia di specie incipienti mentre venivano coltivate nei nuovi ambienti dei campi agricoli neolitici. Ciò non solo spiega caratteristiche come la non dormienza del seme e la germinazione sincrona, ma anche la dimensione del seme: semi più grandi possono essere adattativi in diversi modi, migliorando la concorrenza nelle fasi di crescita precoce e la sopravvivenza delle piantine.
Storici, antropologi e agronomi dovranno ancora comprendere più in dettaglio le dinamiche di creazione e diffusione dei diversi gruppi di cultivar e apprezzare il peso relativo dei fattori biologici e culturali in questa storia. Questo compito difficile e ambizioso rimane ancora in una fase di bozza nonostante gli storici delle colture, seguendo Alphonse de Candolle, si siano impegnati a tracciare l'origine delle specie, la loro introduzione in diversi paesi e la loro storia riuscendo a puntualizzare che all'interno di una stessa specie biologica possono coesistere cultivar e gruppi di cultivar con caratteristiche di forma, biologia e soprattutto d'uso molto diverse. E ognuno di questi gruppi di cultivar può avere la sua storia.
È necessario perché una pianta possa essere identificata (in particolare nelle fonti storiche) che sia stata precedentemente notata e adeguatamente descritta, e se questa descrizione sia stata messa a disposizione di scienziati di altre discipline. Ma una descrizione botanica non basta. Deve integrare dati di interesse come contenuto di sostanza secca della polpa, composizione chimica, caratteristiche del frutto o del seme, in generale tutto ciò che ne rende possibile un uso particolare. Gli usi determinano effettivamente il destino di una particolare pianta e la sua percezione da parte delle persone.
La seconda condizione è la disponibilità di un inventario completo dei nomi popolari in molte lingue. Tale inventario è particolarmente critico nel caso delle Cucurbitaceae, che presentano così tante somiglianze attraverso specie botaniche e generi, un fatto che Vavilov ha formalizzato sotto la sua "legge delle variazioni parallele". Queste somiglianze spiegano perché alle piante di nuova introduzione sono stati spesso dati gli stessi nomi popolari delle piante precedentemente conosciute. Questo processo è ben noto ai linguisti, ed è avvenuto in tutte le lingue e dialetti di tutti i tempi, a tal punto che si può affermare che tutte le identificazioni fatte dagli storici devono essere controllate. Ciò è tanto più importante in quanto, andando indietro nella storia, le descrizioni si fanno più fumose e si riducono alla semplice menzione di un nome e anche l'anacronismo è pronto a spuntare. Oltre a quei processi di cambio di nome, dobbiamo affrontare la variazione delle definizioni popolari tra le lingue (ad esempio una 'gourd' in inglese non è necessariamente una 'gourde' in francese, e la distinzione tra 'squash' e 'pumpkin' non corrisponde a quella tra 'courge', 'citrouille' e 'potiron').
Un altro insieme di dati, molto ben utilizzato da alcuni studiosi e ricercatori, è l'iconografia. L'interesse dell'iconografia è stato dimostrato in modo convincente da Banga (1957) per la storia delle carote, in quanto le nature morte olandesi ci consentono di datare con precisione la comparsa delle carote arancioni durante il XVIII secolo. Allo stesso modo, Finan (1948) ha potuto dimostrare che due diversi tipi di mais erano conosciuti in Europa nel Rinascimento, il che viene ora interpretato come la traccia di due distinte introduzioni, una di un mais tropicale dei Caraibi e l'altra di un mais temperato dal Nord America, quest'ultima introduzione non documentata dagli storici. Ma l'uso dell'iconografia è rimasto limitato a causa di vincoli tecnici (costo delle riproduzioni) e legali o finanziari (copyright di musei e biblioteche sulle opere che conservano e copyright dei fotografi). Con la diffusione di internet, non possiamo che sperare che si trovino soluzioni che permettano di rendere pienamente accessibile l'iconografia riuscendo a creare un contesto di lavoro collaborativo, consentendo approcci incrociati di specialisti di diverse discipline considerando che l'esperienza ci dice che gli storici dell'arte non sono preparati a osservare i caratteri che interessano agli agronomi o ai genetisti e, viceversa, questi ultimi spesso mancano di conoscenze storiche.
Chauvet, M. (dall'introduzione fatta in Paris, H. S., The drawings of Antoine Nicolas Duchesne for his natural history of the gourds, 2007)
Con almeno 25.000 specie e più di 1.700 generi, la filogenesi delle Asteraceae Bercht. & J. Presl, nom. cons. è stata notoriamente difficile da risolvere anche se senza dubbio sono stati fatti enormi progressi. Molto probabilmente hanno avuto origine in Sud America durante il tardo Cretaceo (∼83 mya) anche se ci sono pochi dati per esplorare più a fondo questo dato perché le uniche prove fossili (Tubuliflorides lilliei tipo A) provengono dall'Antartide e dalla Nuova Zelanda (76–66 mya). Durante il Cretaceo, il clima globale era più caldo di oggi con vegetazione della foresta tropicale ai poli. Il raffreddamento è iniziato alla fine del Cretaceo, con conseguente aumento della stagionalità, con i sub-deserti che iniziano a formarsi nell'America meridionale.
Verso la fine del Cretaceo e in seguito all'evento di estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene (quando si stima che cinque specie su sei si estinsero), la temperatura globale si è raffreddata mentre la Terra ha subito diversi intervalli di riscaldamento caratterizzati da cambiamenti estremi del clima e del ciclo del carbonio. Alla transizione Paleocene-Eocene, si è verificata la prima apparente diversificazione all'interno delle Asteraceae la cui dispersione dal Sud America si è verificata in questo periodo di drammatici cambiamenti climatici di circa 50 milioni di anni fa. Qualunque sia il percorso che intrapresero fuori dal Sud America (sono state proposte diverse ipotesi di dispersione al di fuori del Sud America che includono almeno tre percorsi di migrazione: una rotta Pacifico-asiatica, una rotta nordamericana-asiatica e una dispersione diretta dal Sud America all'Africa) è chiaro che una volta che la famiglia raggiunse l'Africa durante il medio Eocene (∼42 Ma, coincidente con il MECO), si verificò un'esplosione di diversificazione. Alla fine dell'Eocene, gli interni continentali avevano cominciato a seccarsi e le foreste si stavano diradando considerevolmente. Durante questo periodo, le Asteraceae conobbero la loro maggiore diversificazione e la successiva colonizzazione del globo.
La maggior parte delle specie sono piante erbacee annuali, biennali o perenni, ma ci sono anche arbusti, viti e alberi (Lachanodes arborea (Roxb.) B.Nord.) che si verificano nel deserto caldo e nei climi semi-desertici freddi o caldi e si trovano in tutti i continenti tranne l'Antartide. Sono particolarmente numerose nelle regioni tropicali e subtropicali (in particolare l'America centrale, il Brasile orientale, il Mediterraneo, l'Africa meridionale, l'Asia centrale e la Cina sud-occidentale). Le Asteraceae possono rappresentare fino al 10% di flora autoctona in molte regioni del mondo.
Tra le linee basali Barnadesioideae e Stifftioideae sono endemiche del Sud America (il lignaggio più antico è rappresentato dall'enigmatica tribù Barnadesieae, composta da circa 90 specie con una morfologia sorprendentemente diversa rispetto al resto della famiglia) mentre Mutisioideae, Wunderlichioideae e Gochnatioideae anch'esse originatesi in Sud America, si sono successivamente disperse anche in altri continenti. Insieme questi cinque raggruppamenti rappresentano circa solo il 4% della biodiversità di specie della famiglia; il rimanente 96% si è sviluppato successivamente alla "uscita" dal Sud America.
Per concludere abbiamo deciso di fare un riferimento a tre testi che sono stati importanti e che hanno segnato un avvicinamento all'origine delle piante coltivate per gli studiosi e per gli appassionati:
I botanici concordano sul fatto che la lattuga coltivata sia una modificazione della specie selvatica chiamata Lactuca Scariola, l'autore che ha esaminato con maggiore attenzione questa questione è Bischoff, nel suo Beiträge zur flora Deutschlands und der Schweiz ma vedi anche Moris, Fl. Sardoa.
Cresce nell'Europa temperata e meridionale, nelle Isole Canarie, a Madeira in Algeria (Lowe, Fl. of Madeira) in Abissinia (Schweinfurth, Abyssinische Pflanzennamen) e nell'Asia occidentale temperata.
Boissier cita campioni che vanno dall'Arabia Petraea alla Mesopotamia e al Caucaso (Bossier, Flora orientalis). Menziona una varietà con foglie rugose, di conseguenza analoga a certe lattughe dei nostri giardini, che il viaggiatore Hausknecht gli portò da una montagna del Kurdistan. Ho un campione dalla Siberia, vicino al fiume Irtysch, e ora è noto con certezza che la specie cresce nell'India settentrionale, dal Kashmir al Nepal (Clarke, Compos. indicae). In tutti questi paesi è spesso vicino alle coltivazioni o tra le macerie, ma spesso anche nei giardini rocciosi, nei boschetti o nei prati, come pianta spontanea.
La lattuga coltivata viene spesso seminata in campagna, fuori dai giardini. Nessuno, che io sappia, ha provato a coltivare la L. Scariola selvatica, per vedere se il passaggio da una forma all'altra è facile. Può darsi che l'insediamento primitivo della specie sia stato esteso dalla diffusione di lattughe coltivate che tornano alla forma selvatica. Quello che è noto è l'aumento del numero di varietà coltivate negli ultimi 2000 anni. Teofrasto indicò tre; Le Bon jardinier del 1880 una quarantina.
Gli antichi Greci e Romani coltivavano la lattuga, soprattutto come insalata. In Oriente, la cultura potrebbe risalire a un'epoca precedente. Tuttavia, dai nomi volgari originari, né in Asia né in Europa, non sembra che questa pianta fosse generalmente e anticamente coltivata. Non viene menzionata alcuna lingua sanscrita, ebraica o degli ariani. C'è un nome greco, Tridax; latino, Lactuca; Persiano e Hindustani, Kahu e l'analogo arabo Chuss o Chass. Esiste anche il nome latino, leggermente modificato, in diverse lingue slave e germaniche (Nenmich, Polygl. Lexicon) il che può significare sia che gli ariani occidentali lo abbiano diffuso, sia che la cultura si sia poi diffusa, insieme al nome, dall'Europa meridionale a quella settentrionale.
Il dottor Bretschneider ha confermato la mia supposizione (A. de Candolle, Géogr. bot. rais.) che la lattuga non è molto antica in Cina e che vi è stata introdotta dall'ovest. Dice che la prima opera in cui è citata risale al 600-900 della nostra epoca (Bretschneider, Study and value of Chinese botanical works).
(Candolle, Alphonse de, Origine des plantes cultivées, 1883)
Il lavoro di A. de Candolle è fondante, rimane esemplare nel metodo e ricco di dati grazie al suo metodo multidisciplinare che unisce botanica, archeologia e linguistica. Sulla base di dati frammentari la sua intuizione lo ha spesso portato a conclusioni corrette, anche se va sottolineato che è in gran parte obsoleto e non dovrebbe assolutamente essere usato come riflesso dello stato della scienza.
Il botanico svizzero concesse un ruolo eccessivo all'antico Egitto (cosa che fa parte dell'egittomania dell'epoca) ed ebbe nei confronti dei nomi popolari un atteggiamento contraddittorio: conferì un ruolo importante a nomi immotivati, reputati vecchi e presi in prestito da una lingua all'altra qualificando invece come assurdi o ridicoli i nomi motivati, risultanti da innovazioni lessicali. Sarà necessario attendere la comparsa dell'etnobotanica perché questi nomi siano finalmente oggetto di uno studio razionale.
(Lactuca scariola Linn.) Europa e Oriente. La lattuga, la migliore di tutte le piante da insalata, in quanto pianta coltivata ha una grande antichità. È evidente, da un antefatto riferito da Erodoto (C. McIntosh, Book. Gard., 1855) che la lattuga apparve sulle tavole reali dei re persiani intorno al 550 a.C. Le sue proprietà medicinali come pianta nutritiva erano state descritte da Teofrasto, 322 a.C., e Dioscoride,560 d.C.; è stato menzionata da Galeno, 164 d.C., che dà l'idea di un uso molto generale. Tra i romani la lattuga era molto popolare: Plinio enumera Alba, Caecilian, Cappadocian, Crispa, Graeca, Laconicon, Nigra, Purpurea e Rubens. Marziale, 101 d.C., attribuisce alle lattughe della Cappadocia il termine viles, o a buon mercato, implicando abbondanza. In Cina la sua presenza può essere fatta risalire al V secolo (E. Bretschneider, Bot. Sin., 1882).
(...) È menzionata da Petrus Martyr Anglerius, 1494, come coltivata sull'isola Isabela. Nel 1565 Benzoni (Historia del Mondo Nuovo, 1857) la descrive come abbondante in Haiti. Nel 1647 Nieuhoff la vide coltivata in Brasile. Nel 1806 McMahon (Amer. Gard. Cal., 1806) enumera i tipi dei giardini americani. Nel 1828 il catalogo di Thorburn offriva 13 tipi e 23 tipologie nel 1881.
Nel rapporto della New York Agricultural Experiment Station per il 1885, sono descritte 87 varietà con 585 sinonimi. Vilmorin descrive nel 1883 centotredici tipi. I numeri delle varietà nominate da vari scrittori in tempi diversi sono i seguenti: per la Francia, nel 1612, sei; nel 1690, ventuno; nel 1828, quaranta; nel 1883, centotredici. Per l'Olanda, nel 1720, quarantasette. Per l'Inghilterra, nel 1597, sei; nel 1629, nove; nel 1726, nove; nel 1763 quindici; nel 1765, diciotto; nel 1807, quattordici. Per l'America, nel 1806, sedici; nel 1885, ottantasette.
Le lattughe cappuccio le lattughe romane sono le tipologie ora coltivate principalmente, ma vari altri tipi, come quelle arricciati, sono frequenti, e quelli a foglie aguzze e foglie di quercia sono occasionalmente coltivate come novità.
Pena e Lobel (Advers., 1570) sostengono che la lattuga romana non sia comunemente coltivata in Francia e Germania, mentre è comune negli orti in Italia. Heuze afferma che fu portata in Francia da Roma da Rabelais nel 1537. Possiamo ragionevolmente ritenere che la lattuga di Camerarius sia molto simile alla Florence Cos. La Lombard lettuce veniva coltivata nell'orto della New York Agricultural Experiment Station nel 1886 e in base alle raffigurazioni di Bauhin e Chabraeus potrebbe essere la Paris Cos. Si deve intendere, tuttavia, che queste raffigurazioni non rappresentino le forme migliorate della nostra attuale coltura ma i prototipi da cui le nostre piante sono apparse, come mostrato non solo dalla somiglianza della forma della foglia ma anche attraverso lo studio delle variabili nell'orto.
Ray nel 1686 descrive la Cos come avente varietà color verde chiaro e verde scuro e queste, così come il Cos maculato, sono indicate da Bauhin nel 1623.
(Sturtevant, E. Lewis, Sturtevant's notes on edible plants, 1919)
La pubblicazione di Sturtevant ha permesso di raccogliere molti dati (coerenti per molte specie, ma scarsi per altre) su 2897 specie di piante commestibili tratte da 560 fonti antiche e moderne cosa che rese il testo uno standard di riferimento per molto tempo. Oggi il libro è obsoleto, ma mette in evidenza molte vecchie fonti che altrimenti rimarrebbero trascurate.
Il botanico americano ha fatto un buon uso di fonti europee e nordamericane prendendo spunto anche da riferimenti botanici pre-linnei nonostante abbia avuto accesso solo ad alcune delle molte edizioni di tali libri. Le sue informazioni sono molto più limitate quando si tratta di aree tropicali.
Le principali varietà di lattuga coltivata sono ben stabili e quindi si ibridano poco, il che indica una cultura antica. L'antichità deve aver conosciuto tutti i nostri principali tipi di lattuga. L'era moderna non sembra aver prodotto varietà con nuovi caratteri. Un certo numero, tra le migliori che coltiviamo, era già in uso con il nome attuale nel XVII o almeno nel XVIII secolo..
Tuttavia la rigorosa selezione praticata nei tempi moderni dagli orticoltori parigini non è stata priva di miglioramenti: l’amaro naturale di antiche varietà di lattuga coltivata, selezionate probabilmente da un'erba selvatica, la Lactuca Scariola, è stato notevolmente diminuito.
(…) Un'altra lattuga autoctona, la Lactuca perennis, o lattuga perenne, abita pendii pietrosi e terreni maggesi calcarei. Nel sud e nel centro della Francia, i contadini la mangiano come il dente di leone. Essendo una lattuga perenne, questa lattuga selvatica con fiori blu o violacei differisce in modo troppo marcato dalla nostra lattuga annuale con fiori gialli per essere il suo tipo primitivo.
Come si può notare l'origine delle lattughe coltivate è incerta. Le differenze che esistono tra le lattughe cappuccine e le lattughe romane sono più di natura orticola; le identiche caratteristiche del fiore e del frutto non lasciano supporre che appartengano a due tipi botanici distinti, tanto più che queste due classi principali di lattughe sono legate tra loro da una serie di varietà che costituiscono il passaggio. Tuttavia, per la diversità del colore dei semi, bianchi, neri o gialli delle attuali lattughe, si può sempre sospettare un'origine ibrida. Non è così per il maggior numero delle nostre piante domestiche?
Vilmorin osserva che, in base ad alcune forme cinesi senza testa, si può supporre che la lattuga, allo stato naturale, debba essere composta da una rosetta di grandi foglie allungate, leggermente spatolate, più o meno ondulate e dentate sui bordi. Nelle nostre culture, le cosiddette lattughe da taglio sono sicuramente vicine alla forma primitiva.
(…) Braun ha trovato semi antichi mentre studiava resti di piante egizie nel Museo di Berlino. La lattuga faceva parte delle erbe amare che gli ebrei dovevano mangiare nella festa religiosa della Pasqua. I rabbini commentando la Bibbia designano cinque specie di piante che si potevano mangiare con l'agnello pasquale: lattuga, indivia e cicoria selvatica, poi erbe aromatiche da condimento che dovevano variare a seconda del tempo e del luogo: rucola, crescione, prezzemolo, marrubio, ecc… La vesione dei Settanta chiama queste piante picrides, cioè lattughe selvatiche. La Vulgata, traduzione latina della Bibbia fatta da San Girolamo, rende come Lactucae agrestes la parola ebraica merôrîm che designa le erbe amare.
Lactucae agrestes è un termine generico che comprende lattuga coltivata, lattuga perenne, Lactuca Scariola, indivie e cicoria selvatica.
(…) Gli autori del Medioevo e del Rinascimento conoscevano solo un numero molto limitato di varietà. Le Ménagier de Paris indicava nel XIV secolo le lattughe provenienti dalla Francia e da Avignone.
Ch. Estienne, l'autore de La Maison Rustique nella seconda metà del XVI secolo, afferma che in Francia si coltivano quattro tipi di lattuga, ovvero:la crépue, la têtue, la pommée, la blanche. Gérarde (1597) in Inghilterra elenca otto varietà. Olivier de Serres (1600) parla solo di tre o quattro tipi. Ce n'erano di più, ma i nostri predecessori non riuscivano a distinguere le differenze, troppo piccole per loro, su cui stabiliamo le varietà di piante coltivate.
Nel XVI secolo dall'Italia si ricevevano buone varietà di lattuga: sappiamo dalle lettere del maestro Rabelais che durante i suoi viaggi a Roma nel 1534 e nel 1537 inviò semi di lattuga all'amico Geoffroy d'Estissac, vescovo di Maillezais. Si presume che questa insalata fosse romana e a Rabelais è generalmente accreditata la sua introduzione in Francia. È un errore. Già i Romani avevano in Cappadocia un tipo di lattuga dal cespo molto allungato simile alla Romaine. Nel medioevo gli Arabi di Spagna coltivavano una lattuga cappuccio, la lattuga di Cordova; un altro tipo chiamato lattuga di Siviglia ricorda la nostra Romaine, secondo la descrizione di Ibn-el-Beïthar (XIII secolo).
La prima menzione di questo genere si trova nell'opera di Crescenzi, agronomo italiano del XIII secolo. Si legge nel libro VI del suo Trattato di agricoltura «le grosse lattughe che si chiamano romane, che hanno semi bianchi, devono essere messe a dimora perché diventino morbide».
Questa lattuga fu portata dai Papi ad Avignone. Da qui il suo nome di Romaine. L'introduzione a Parigi sarebbe dovuta al Bureau de la Rivière, ministro di Carlo V, che avrebbe riportato questa insalata da un viaggio diplomatico compiuto ad Avignone nel 1389 e secondo la formale testimonianza di un'opera dell'epoca «ha notato che il seme di lattuga dalla Francia è nero, mentre il seme di lattuga da Avignone è più bianco e ne ha fatto portare un po’dal vescovo de la Rivière». La lattuga di Avignone può essere solo Romaine poiché Ch. Estienne osserva che Romaine è l'unica specie di lattuga con semi bianchi ancora conosciuta nel XVI secolo. Il nome dato in Inghilterra alla romana Cos Lattuce, dall'isola di Cos nell'arcipelago greco, patria di Ippocrate, sembra indicare una credenza in un'origine orientale di questa varietà. Secondo Parkinson, John Tradescant, giardiniere di Carlo I, la portò in Inghilterra.
In tempi moderni le lattughe sono state migliorate soprattutto in Francia, Olanda e Germania. Molte varietà tra quelle già nominate nel XVII secolo sono ancora in uso e in particolare le lattughe destinate alle colture precoci: Crêpe, à coquille, Passion, Gotte oppure Gau.
Claude Mollet nominò intorno al 1610-1615 la laitue Crêpe, la laitue pommée; la Romaine che chiama laitue de Lombardie. Si trovano nel Jardinier françois (1651): Laitue de Gênes, à coquille, capucine oppure rouge; la Royale, les Chicons. Chicon, come sinonimo di Romaine, è praticamente caduto in disuso.
La Quintinie coltivava nel 1690 laitue Romaine, à coquille, Passion, Crêpe blonde et verte, Royale, Bellegarde, Capucine, de Gênes, Perpignane, Impériale, d’Aubervilliers, George.
Da Combles (Ecole du Potager, 1749) elenca 25 varietà di lattuga cappuccio. Oltre alle precedenti, nomina la Batavia, la Versailles, la Sanguine, la Dauphine, la Grosse blonde. La lattuga preferita in questo periodo era la lattuga Impériale oppure laitue d’Autriche.
Alla fine del XVIII secolo e per parte del XIX secolo, la lattuga Cocasse era la preferita dei mercati parigini. La moda della Palatine dura ancora. È una delle più coltivate dagli orticoltori per il consumo estivo e autunnale. Introduzioni più recenti sono: lattuga Semoroz ottenuta da un giardiniere ginevrino intorno al 1850; lattuga Bossin, perfezionamento della Chou de Naples (1865 circa); Romaine Ballon (1881), Merveille des 4 Saisons; lattuga Trocadero (1883-84); lattuga blonde du Cazard (1898-1900).
Negli ultimi anni M. Paillieux ha richiamato l'attenzione su due curiose lattughe: la Gigogne, una forma senza cespo, originaria del Pamir, e la lattuga Asparagus, una variante della lattuga comune i cui steli si mangiano da giovani.
L'origine della forzatura della lattuga sembra risalire al giardiniere di Luigi XIV, La Quintinie, che forniva insalate a gennaio alla tavola reale. Dulac e Chemin iniziarono a forzare le romane nel 1812.
(Gibault, G., Histoire des Legumes, 1912)
Dal punto di vista storico Gibault, che non ha trascurato alcuna fonte di documentazione, chiarisce molti fatti e riduce al loro giusto valore alcune leggende prendendo spunto da fossili e piante provenienti da città lacustri; da prove o probabilità tratte da etimologia sanscrita, greca, araba o gotica; prendendo ispirazione da erbari antichi e da citazioni e descrizioni di autori antichi, naturalisti, storici, geografi, scrittori e perfino poeti. Addirittura da economisti per quanto riguarda il valore di mercato o il prezzo delle derrate alimentari di diversi paesi; utilizza l'iconografia e le informazioni tratte dalle riviste di orticoltura e dai cataloghi degli orticoltori… tutto viene raccolto, analizzato, classificato, interpretato e presentato al pubblico in una forma tanto sostanziale quanto gradevole.